eildentroeilfuorieilBox84: Il punto di vista del Box

  • eildentroeilfuorieilBox84 è un collettivo con base a Roma costituito da Giorgio Rampone voce e chitarre, Giuseppe Maulucci basso e voce e Lorenzo Lemme batteria e voci. Hanno all’attivo una considerevole attività dal vivo e un Ep, “Obecalp”, realizzato come autoproduzione nel 2004. In occasione dell’ uscita del loro nuovo imminente Ep, “Omotal”, il gruppo decide di aprire le porte del Box per una piacevole chiacchierata.

    Rocklab: La vostra musica mi sembra il lungo distillato di precedenti esperienze musicali di lungo periodo ed eterogenee, quasi fosse una spontanea e necessaria liberazione dagli schematismi di generi da voi battuti in precedenza ed ormai privi di stimoli e di attrattiva: insomma pare quasi vi siate detti “ora basta, facciamo come pare a noi”.

  • Quello che possiamo dire è che le precedenti esperienze non ci assomigliavano e che non erano come noi. In effetti col senno di poi ci rendiamo conto di quanto il bisogno di superare i limiti dei generi e dei codici si fosse già manifestato all’interno delle nostre precedenti esperienze, ma che fosse rimasto ad un livello puramente embrionale. Solo nella realtà del Box questo elemento ha trovato il suo sfogo e la sua massima espressione. Il Box84 nasce dall’idea di volersi divertire senza il bisogno di andarsi a chiudere necessariamente in una nicchia anziché in un’altra. Per questo vogliamo che il Box sia una proposta nuova e coinvolgente, evitando la noia del già visto e del già sentito.
  • Rocklab: Tutto questo è avvenuto quindi come un processo naturale…
  • Sì. La particolarità non è derivata tanto dall’aver preso una decisione in questo senso, quanto dal non averla presa!
    Non abbiamo fatto altro che mettere a disposizione le nostre istanze all’interno del gruppo senza invaderci gli spazi. Questo ha avuto inaspettatamente il risultato di avvicinarci molto e di creare qualcosa di particolare, che assomigliasse solo a noi.
  • Rocklab: E questo con il vantaggio dell’esperienza musicale maturata e del fatto di saper effettivamente suonare: quanto è servita per il Box la vostra precedente militanza negli SDT e, per quanto riguarda Giuseppe Maulucci, nella scena hardcore romana? Cosa avete lasciato da parte del sound precedente e cosa avete invece portato con voi?
  • (risponde Giuseppe Maulucci) Da parte nostra abbiamo lasciato tanto, e questo lo dico a nome del gruppo. Per quanto riguarda me, credo che il mio passato di militanza hardcore influenzi ancora parecchio. Specialmente le linee di basso di Obecalp, il nostro primo Ep, risentono appieno di questo approccio. Allo stesso tempo però credo che il mio stile si stia evolvendo lentamente verso qualcosa di più personale.
  • Rocklab: Parlando della vostra nuova produzione, abbiamo avuto la possibilità di apprezzare dal vivo alcuni brani inediti come “Sembro triste se mi sono drogato male” (titolo ancora da definirsi) oppure “La storia”, non contenuti nel vostro primo Ep Obecalp (2004).
  • Sì, questi brani saranno contenuti nel nostro nuovo lavoro, di cui stiamo terminando il mastering.
  • Rocklab: Ascoltando i nuovi brani dal vivo ho avuto l’impressione che nella loro composizione abbiate privilegiato un approccio più robusto, umorale e rumoristico, quasi più post-core che post-rock. E’ vero o è solo un’impressione mia dovuta alla veste live dei pezzi?
  • Forse qualcosa di nuovo c’è da questo punto di vista, ma più che altro credo che sia un portato della veste live, dove anche i pezzi Obecalp dal vivo sconfinano in un suono più potente e rozzo, direi più rumoroso.
  • Rocklab: Quanto odiate le etichette musicali che vi ho appena appioppato?
  • Non è che le odiamo, è che proprio non sappiamo che cosa vogliano dire. Consideraci come dei signori che hanno finito di suonare negli anni ottanta e che ora si sono rimessi insieme e hanno visto che gli piace, tutto qui. In ogni caso hai ragione nel dire che il nostro suono è un post-qualcosa.
  • Rocklab: Immagino che ora per farmi perdonare vi debba chiedere qualcosa sul grott-rock! Parlatemi di questa idea.
  • L’idea di autodefinirci come un band di grott-rock nasce proprio dal fatto di non trovare un’etichetta adatta a significare quello che effettivamente facciamo. Il grottesco è un genere di comicità amara che attraverso il riso riesce a veicolare concetti e a dire anche cose serie. E da questo punto di vista ci è molto congeniale. Oppure forse è che cercando di dire cose serie facciamo ridere! A questo proposito ci sembra comunque doveroso sottolineare quanto sia stato importante per la nostra componente “grott” il contributo di Giorgio (chitarra e voce), vero uomo del frullatore, il quale ha avuto il merito di veicolare all’interno del gruppo lo spirito che inizialmente viveva solo nel nostro modo di comunicare come persone e come amici.
  • Rocklab: La ricetta del grott-rock?
  • Si tratta di unire I Led Zeppelin, Jimi Hendrix, Rino Gaetano e i Righeira, in un frullatore.
  • Rocklab: In effetti un elemento che emerge con forza dalle vostre performance live è proprio la capacità di non prendersi eccessivamente sul serio. Vi divertono i cliché del rock? In che misura li riusate e rimaneggiate per i vostri scopi?
  • Parlando tra di noi, essendo noi stessi prima di tutto persone appassionate di musica che frequentano i tipici circuiti romani della musica dal vivo, ci siamo trovati a concordare sul fatto che spesso e volentieri ai concerti ci si annoia. E nessuno ad un concerto si vuole annoiare. Il problema di questi cliché è che molti pensano che siano l’unico modo per dimostrare di saper suonare. In realtà è falsissimo, perché il pubblico annoiandosi si distrae, e alla fine non ricorderà nulla di quello che ha visto.
  • Rocklab: Pensate che in Italia la scena indipendente si prenda troppo sul serio (da sola)?
  • Il problema è a monte, e dipende da chi effettivamente riesce ad emergere e viene prodotto. Essere indipendenti significa innanzi tutto non avere niente. E molti non avendo niente provano a spingere, provano a diventare “il gruppo”. Noi siamo quelli che arrivano secondi alle rassegne, perché primi arrivano coloro che hanno un àmbito e atteggiamenti, come dire, più “professional”.
  • Rocklab: Pensate che in Italia la musica che non si prende troppo sul serio non sia presa seriamente?
  • C’è un po’ questa brutta abitudine. C’è anche una minoranza di persone che la prende comunque sul serio, ma più che altro direi che in Italia non c’è forse mai stata davvero questa ‘musica che non si prende troppo sul serio’. C’è stato semmai un filone di musica demenziale. Ma quella è la ‘musica che ti fa ridere’, ed è altra cosa rispetto al grottesco. Il nostro obbiettivo non è quello di far ridere, ma di comunicare su una pluralità di piani.
  • Rocklab: Ascoltandovi dal vivo il 7 Novembre al Traffic sono rimasto molto colpito dalla peculiare attenzione che dedicate al piano linguistico della vostra proposta, e al particolare uso, perdonatemi il termine, “eversivo” che fate del linguaggio. Non esito a dirvi che questo mi sembra uno degli elementi più interessanti del Box… chi di voi è l’artefice di questo processo di “distruzione linguistica”?
  • Il nostro modo di concepire la lingua è una reazione naturale alla ripetitività e alla piattezza del linguaggio mediatico, e lo dico senza paura di sembrare a mia volta banale. Noi vorremmo ancora stupire col linguaggio. Tuttavia il nostro approccio resta comunque molto personale, i discorsi che facciamo, la musica che ascoltiamo, o qualsiasi altro elemento rientri nella nostra comunicazione, viene rimacinato e riutilizzato.
    I testi vengono costruiti dall’interazione forte che esiste tra i membri del gruppo, ognuno dice la sua al microfono e talvolta vengono fuori anche molte cose non preparate. Lavoriamo per aggiunta di elementi e con la massima libertà. Potremmo dire che i testi vengono scritti a sei mani, dove ognuno può aggiungere quello che crede al testo che ha scritto un altro e così via. Questo può avvenire anche perché esiste una linea di pensiero che ci accomuna su molte cose…
  • Rocklab: Mi è capitato di recente di riflettere sul fatto che negli ultimi anni, sarà impressione mia, c’è una maggiore propensione della cultura pop o di massa a fare largo uso del gioco linguistico, anche fine a se stesso, addirittura in spazi televisivi che prima erano molto meno acessibili a questo tipo di proposta, e in particolare sul territorio italiano, che tradizionalmente è più refrattario di quello anglosassone a questo tipo di comunicazione. Pensate che la rete (con tutte le sue derive di nuovi strumenti di comunicazione) abbia influenzato una visione più ludica della parola? E in che misura questo riguarda il Box?
  • (prende la parola Giuseppe Maulucci) Era capitato anche a me di rifletterci, e so anche di chi è la colpa: la colpa è della tastiera! (ridono) Mi spiego meglio: quando scrivi delle cose con la tastiera spesso ti capita di sbagliare tasto, perché non sei ancora molto abituato al mezzo. Così a volte escono delle cose assurde, che poi rileggi e che spesso trovi anche divertenti. Ora, anche l’altro, il tuo interlocutore, avrà avuto modo di vivere in una maniera o nell’altra questa tua stessa esperienza. In questo modo, se estendi il discorso su larga scala, si crea facilmente un meccanismo collettivo di ironia sulla parola che si auto-alimenta in maniera esponenziale. E questo, a pensarci, è molto grottesco. Per quanto ci riguarda, le stesse e-mail che ci scambiamo come amici sono diventate per noi un micromondo da cui si è sviluppato quello che oggi facciamo in musica.
  • Rocklab: Credete nell’ascolto creativo? Ci sono certi gruppi come i Sonic Youth che mi fanno davvero pensare che l’ascoltatore debba farsi un po’ musicista egli stesso…
  • (parla Lorenzo Lemme) Ho visto due volte dal vivo i Sonic Youth e penso che la loro musica sia completa così, anzi, la musica più completa che io abbia mai ascoltato. Almeno su di me fa questo effetto. Io sono fortemente influenzato da tutto quel ciclo di musica che parte dai Sonic Youth fino ad arrivare agli ultimi gruppi di New York, come i Blonde Redhead, e – senza fare distinguo troppo netti – amo molto anche certi lavori dei Pixies o degli At the drive In. Il motivo è che tutti questi gruppi non ti stendono con la loro bravura, ma al contrario generano in te un discorso creativo. Assistere a un concerto di uno di questi gruppi ti comunica l’irrefrenabile desiderio di fare qualcosa anche tu, con la tua musica. Da questo punto di vista li trovo molto stimolanti.
  • Rocklab: Cambiando discorso, ho visto Orwell tra i vostri amici di Myspace…
  • Sì, è il nostro primo amico!
  • Rocklab: Orwell era uno attento ai rapporti tra potere e linguaggio, no? Mi pare che molti dei concetti che utilizzate ruotino intorno a quella visione ‘distopica’ della realtà (il contrario dell’utopia) veicolata dai romanzi di Orwell (1984) o ancora Ray Bradbury (Fahrenheit 451) o Huxley, fino a Philip K. Dick e molti altri. Che rapporto avete con queste letture, e quanto peso hanno, o hanno avuto nella proposta del Box84?
  • In “Frastuono”, che è la traccia di apertura del nostro primo lavoro, compare un famoso brano sul rapporto tra vecchi e nuovi totalitarismi tratto dal celebre romanzo “Brave New World” di Aldous Huxley. Indubbiamente abbiamo un filone di pensiero nascosto, di cui forse tra noi non parliamo esplicitamente, ma che riguarda il linguaggio, i poteri, l’uso che i poteri fanno del linguaggio e tutte quelle cose che in fondo ognuno di noi subisce. L’altra citazione contenuta in Obecalp è appunto di Gorge Orwell e parla della ‘bellezza’ della distruzione del linguaggio e dei ‘vantaggi’ della “neolingua”, il nuovo linguaggio inventato al fine di controllare il pensiero dal regime totalitario che Orwell descrive nel suo “1984”.
    Indubbiamente la scrittura di Obecalp è stata influenzata da questo filone di pensiero, ma senza la presunzione di voler prendere in mano la bandiera di un facile ribellismo o di chissà quale pretesa rivoluzionaria. C’è anche chi la chiamerebbe antipolitica…
    (prende la parola Giuseppe Maulucci) Mi è capitato di leggere un libro molto interessante dal titolo “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Pirsig, che tra le altre cose sottolinea quanto il mondo descritto da Huxley o Orwell fosse in definitiva un mondo privato di tutte le differenze qualitative, quindi di tutto ciò che può piacere o dispiacere, eliminando di fatto le differenze tra le cose: un quadro fatto malissimo o un quadro bellissimo è comunque un quadro. Le sensazioni, quella creatività nel ricevere e produrre i messaggi, hanno per i poteri totalitari di quei romanzi un contenuto eversivo, da eliminare.
  • Rocklab: Ma è lo spazio che rimane alla vita, giusto?
  • Sì, ma al di là di Orwell ne rimane fortunatamente ancora molto, moltissimo! Il sentimento di paura per la spersonalizzazione della società è forte, ed è indubbiamente una componente del nostro sentire e del nostro fare musica, ma non è in alcun modo la prerogativa del gruppo. La prerogativa del gruppo è quella di dare una risposta a questa paura. Ed è il “grott” a costituire la nostra risposta.
  • Rocklab: Parlateci dei titoli dei vostri due Ep.
  • La verità è che un giorno è arrivato Giorgio (Rampone n.d.r.) e ci ha detto “il disco si chiama Obecalp” e noi abbiamo detto “va bene”, ma intendendo che non ce ne importava assolutamente nulla. (ridono) (prende la parola Giorgio Rampone) In realtà questo termine, che è “placebo” pronunciato al contrario, è la parola in codice che usano i medici fra loro quando vogliono fingere di somministrare una medicina ad un malato che in realtà non ha nulla (il resto del gruppo sembra non saperlo n.d.r.). Insomma: “somministrate 2cc. di Obecalp al paziente!”. Omotal invece è solo perché mi piaceva l’atomo come concetto.
  • Rocklab: Voi siete in tre e utilizzate tre microfoni: considerato che in qualsiasi forma artistica una metà del processo creativo è costituita dalla pura scelta estetica, mentre l’altra metà è condizionata dalle necessità e dai limiti strutturali del mezzo, mi interesserebbe sapere a chi è venuta l’idea dei tre microfoni, e soprattutto qual è stata la necessità, se c’è stata, che vi ha portato a questa scelta.
  • La risposta è molto semplice: non avevamo un cantante. Ci siamo detti: abbiamo delle cose da dire? diciamole! Per quanto riguarda Giuseppe (Maulucci n.d.r.) abbiamo addirittura dovuto forzarlo (ridono), perché effettivamente non aveva alcuna abitudine a cantare. D’altro canto ci siamo resi conto che l’effetto generale che si crea è effettivamente molto interessante ed efficace: rompe la monotonia di una visione troppo concentrata su un ipotetico frontman e facilita anche il nostro lavoro in sala, dove ognuno può inserire elementi a piacimento, in un processo, come ho già detto, di interazione.
  • Rocklab: Sul palco avete l’abitudine di utilizzare molti oggetti, mi è capitato di vedervi alle prese con sombreri e cuffie da nuoto…
  • Sì. Pensiamo che dal vivo queste cose escano molto, da un punto di vista sia visivo che intuitivo. Il concetto è chiaro: noi siamo dei coglioni, e sebbene proviamo a dire anche cose serie non vogliamo certo arrogarci il diritto di dirti cosa devi fare o cosa devi pensare. Siamo convinti che quello che diciamo abbia un senso, ma vogliamo che tutto questo esca senza presunzione alcuna. Lo stesso testo di “Sopra le onde” è una metafora seria sul fatto di dover stare in balia di una forza che non si può gestire o controllare; ma quando siamo andati a lavorarci in sala abbiamo aggiunto elementi che ne stemperassero e smontassero il concetto di base, in direzione di una maggiore leggerezza, e anche le cuffie da nuoto servono bene a questo scopo!
  • Rocklab: Immagino che dalla data di uscita del vostro primo Ep ad oggi di cose ne siano cambiate. Quali innovazioni o evoluzioni, sia a livello di “produzione” sia a livello di composizione avete realizzato o subito in questi due anni? E cosa cambiereste o cosa non vi soddisfa appieno del primo lavoro?
  • Dal punto di vista “artistico” possiamo dire che non è cambiato nulla, perché il primo lavoro ci soddisfaceva e tuttora ci soddisfa appieno. Forse a livello di produzione e di resa del materiale audio sono stati fatti dei passi avanti. Tutti i nostri lavori sono autoprodotti, li produciamo proprio qui all’interno del box, e quindi abbiamo pieno controllo su tutte le fasi della produzione. Il primo lavoro era frutto di un’urgenza di realizzare qualcosa, avevamo fretta di concretizzare e di capire chi effettivamente eravamo. Questo secondo Ep è invece il risultato di un lavoro più meticoloso, che ci ha impegnati per molti mesi. Possiamo dire che abbiamo dedicato più cura alle fasi di registrazione e alla resa sonora, che volevamo molto più vicina alla resa dei brani dal vivo. Questo è stato possibile anche grazie ad una maggiore disponibilità di mezzi tecnici, laddove Obecalp era stato realizzato in presa diretta con il solo ausilio di tre microfoni in sala, e la voce aggiunta successivamente.
  • Rocklab: Fate entrare i lettori di rocklab all’interno della vostra saletta: cosa succede all’interno del box quando componete? Come nasce un tipico pezzo di eildentroeilfuorieilBox84?
  • Attacchiamo il jack e iniziamo a suonare! (ridono). Probabilmente suoniamo per due mesi varie cose senza avere la minima intenzione di registrarle. Dopo due mesi avvertiamo il bisogno di concretizzare. E allora andiamo a pescare dalle nostre sessioni la prima cosa che ci venga in mente, e il fatto è che avendola suonata per due mesi è praticamente sicuro che ci piaccia! A questo punto procediamo per aggiunta, iniziando ad aggiungere elementi all’impalcatura del brano. Il tutto in un contesto di jam session: lavoriamo molto in sala.
    Dal punto di vista compositivo non siamo mai stati amanti delle frasi musicali molto lunghe. Spesso i risultati delle nostre jam non sono altro che piccoli frammenti o brevi motivi intorno ai quali lavorare. E in questo ci sentiamo molto influenzati dal sistema compositivo del computer, sebbene applicato al contesto tutto analogico della session.
  • Rocklab: So che suonerete al Circolo degli Artisti di Roma: parliamo dei prossimi appuntamenti dal vivo e della successiva attività del Box.
  • Sì, il 29 Novembre saremo ospiti della serata organizzata al Circolo degli Artisti dal gruppo di promozione musicale “Sporco Impossibile”, che ci ha selezionati per questa performance insieme ad altre tre realtà della scena indipendente italiana. Dopo il concerto al Circolo degli Artisti apriremo un’altra fase creativa, avendo finalmente terminato le sfiancanti fasi di produzione del nostro ultimo Ep. E finalmente ricominceremo le sessioni in sala: si parlerà di reimparare ad andare in bicicletta! Per quanto riguarda altri appuntamenti, live e non, c’è sempre il nostro sito www.eildentroeilfuorieilbox84.org e il nostro spazio su Myspace www.myspace.com/eildentroeilfuorieilbox84.
  • Rocklab: Esiste in Italia un gruppo che con gli strumenti del core e del post-rock sceglie di essere sarcastico e sopra le righe?
  • I Katzenaugen! (e qui tutto il gruppo sembra essere d’accordo n.d.r.)
  • Rocklab: Come si fa a dire “ti amo” dopo mezz’ora passata sulla tangenziale in ora di punta?
  • Ovviamente, “Talco mentolato”!