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Sono molte le cose che un buon critico dovrebbe rimproverare a Federico Fiumani: l’autoreferenzialità dei suoi testi, le scarse velleità estetiche del suo stile, l’incapacità di darsi un posto nel presente, il non essere quasi mai all’altezza, né del suo passato né di se stesso come autore ed artista. Tutte considerazioni esatte quanto inutili, con un disco come questo per le mani. Da quasi quindici anni a questa parte, Fiumani ha deciso di consumare la sua ripicca contro una carriera spesso avara di riconoscimenti, prendendo da quella stronza della musa molto più di quanto ancora le possa offrire. Da allora, come qualcuno ha scritto, “vive di sé”: delle sue pene, dei suoi continui rimpianti sul passato della sue ironiche riflessioni sulla vita. Da una vita incide per la caustrofobica Self, senza nemmeno correre il rischio di un riscontro di pubblico. E per trattare argomenti che effettivamente non potevano essere “di gruppo” si spoglia anche dell’ultimo vezzo, il marchio Diaframma, il che sembra scioglierlo da qualsiasi obbligo anche solo vagamente stilistico: il Fiumani che potete sentire qua è probabilmente quello che ascoltereste parlare di sé in un bar, dopo un paio di birre scolate. Stanco dei giri di parole (non ne ha mai fatti) è del tutto prosastico, fa nomi e cognomi – le sue donne, trattate con felliniana dolcezza e sbrigatività – cita fatti e luoghi definiti – la sfortunata avventura allo storico Ira Record Store di Firenze – riflette su di sé oggi e sui suoi numerosi tempi di magra, che l’hanno temprato da un lato e completamente disilluso dall’altro. E il fatto che si preoccupi di accompagnare tutto questo con una chitarra è dovuto ad una assuefazione per la musica che ha del patologico: la canzone intesa come diario personale, come un intimo confessionale, cosicchè non ha nessun senso far rilevare la penuria di nuovi suoni o vagheggiare su chissà quali “svolte stilistiche”.
Nel parlato de “L’ora più Bella”, dopo essere tornato ancora sul suo passato e aver raccontato ingenuamente l’ennesima avventura da loser che più personale di così si muore, la voce del Fiumani conclude dicendo: “…fortuna che di lì a poco venne Gennaio” . E l’accenno immediatamente seguente al vecchio classico dei Diaframma fa capire quanto poco centri il primo mese dell’anno e, soprattutto, quanto sia sempre stato sfumato il confine fra il Fiumani artista e il Fiumani uomo. ‘Donne Mie’ è un disco che sta pericolosamente in bilico su questo confine: e quando le cose stanno così, da recensire resta davvero poco.