Acquista: | Data di Uscita: | Etichetta: | Sito: | Voto: |
Quando esattamente il punk smise di essere sinonimo di “libertà” per diventare un gabbio di radicalismi e intransigenze da fanatici, non è dato sapere. Se si dà retta alla data impressa per la prima volta su questo disco (oggi in fiera ristampa, con tanto di bonus tracks ) il bel gioco durò poco, pochissimo. 1978, un anno appena dalla grande esplosione londinese: i Magazine sono fra i primi, e fra i pochi di sempre, ad appropriarsi a buon diritto di un’etichetta solitamente vaga, come quella di “post-punk”. Perché è proprio dall’esperienza del punk rock, vissuta sulla propria pelle dietro il microfono dei Buzzcocks, che Howard Devoto capisce che il settantasette non è un punto di arrivo, ma una partenza verso qualcosa di nuovo. Si danna a cercare nuovi compagni e nuovi stimoli e trova entrambi nei nomi di McGeoch e Barry Adamson (futuri postpunkers navigati) e nella tastiera, qui a cura di tale Dave Formula. Sì, tastiere! E pure synth! Abusati fino alla nausea negli anni a venire ma di questi tempi ancora territorio tabù, contaminato soltanto dagli Stranglers che già le usavano per cantare l’anatemica “No More heroes”. Keys come chiavi di volta di tutto il sound: attorno ai giri labirintici e claustofrobici del Formula (i Pil già prendono nota) gravita tutta la nuova concezione di una musica che, appena nata, già puzzava di chiuso. Dalla tabula rasa del punk si parte per (ri)costruire, con qualche colpevole occhiata al passato: il sottovalutato sax selvaggio di Funhouse torna a dissonare, con tutte le sue reminiscenze free jazz, ma si va anche oltre; palate e palate di Bowie , quello iperteatrale di Ziggy e dintorni, con rischi di pacchianata annessi. E poi un’affinità – se non altro ideale – con il progressive europeo che ha tutto l’odore dell’eresia. I Magazine avranno di che discolparsi con colleghi e critici della contemporaneità: ma i posteri non aspettavano altro.