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Prendere la neolingua televisiva e deformarla, fino a farla esplodere dall’interno, costruire un baluardo di ironia come ultima arma di difesa per l’intelligenza e brandire il grottesco come fosse una spada, come le bacchette di una batteria, a sparare parole e colpi ben assestati. Un balsamo di vendetta dopo aver visto e sentito Paola Perego a buonadomenica.
Sono barricaderi i tre ragazzi di eildentroeilfuorieilbox84, ma con il telecomando alla mano e un tronky nell’altra, e per questo non cedono mai alla tentazione di prendersi troppo sul serio, partecipano alla festa che criticano e alla fine ti fanno pure pensare più e meglio di altri (non sono per niente anime belle).
“Se sai ridere delle cose sei padrone del mondo”, ha detto poco tempo fa un attempato ma lucidissimo Monicelli in una recente intervista: penso che lui se lo vedrebbe volentieri Lorenzo Lemme, batterista e centro di rotazione del suono del box, con indosso la cotta di maglia di Brancaleone, potesse venire all’Alpheus o al Circolo degli Artisti.
Ma arriviamo finalmente al motivo per cui siamo qui: la seconda “prescrizione” dei dottori del box si presenta con un meraviglioso packaging da antibiotico bayer e con un nome non da meno (‘Omota’l’), e ci restituisce l’immagine di una band ormai pronta per il grande salto. I brani hanno strutture ancora più complesse e cangianti rispetto al primo lavoro, e denunciano una ricerca e un lavoro di approfondimento stilistico davvero strepitoso e una maturità artistica ormai raggiunta e impugnata con certezza. Ma ha un tallone d’achille: non riesce in alcun modo a catturare la potenza, il divertimento, la comunicatività e il suono implacabile di una band che dal vivo raggiunge vertici forse troppo alti per una quasi-autoproduzione. Diciamo che ne rappresenta l’infinitesima parte (appunto). La sessione ritmica, che a mio parere è il motore propulsore di un suono tra noise, core e psichedelìa, è sul disco affogata in una pasta bianca e brillante che uniforma tutto, che rompe le pause e spegne i colori, depotenziando addirittura i potentissimi testi in lingua italiana (che invece dal palco la band declama con un efficacissimo schema a tre punte che mette definitivamente in soffitta il concetto di frontman). Ma queste, sia detto con certezza, sono le critiche che si rivolgerebbero a un fuoriclasse, perchè dopo averli visti dal vivo all’Alpheus di Roma ho avuto la fortissima impressione che sia questa e non un’altra la prossima band che meriterebbe di uscire dal mucchio e seguire le orme dei vari Micecars, Carpacho, Canadians. Ne ha tutte le possibilità, e forse anche di più. E perchè mi piacerebbe che un produttore discografico all’ascolto muovesse il suo aureo didietro e si confondesse tra il pubblico del prossimo concerto di eildentroeilfuorieilbox84, facendo un favore a se stesso e a tutti noi. Per catturare finalmente su disco quel pensiero all’unisono e deragliato, che E’ in effetti il suono reale del Box, e che questo (e il precedente) lavoro di studio falliscono nel catturare.