White Lies – Ritual


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Strangers

L’ACCUSA

P.M. Giovanni Papa

…mi rivolgo a voi Signor Giudice, ma soprattutto mi rivolgo alle orecchie di voi Illustrissimi Giurati, chiamati qui a giudicare questo album. Parliamo di Ritual, seconda opera dei White Lies, e qui vi esorto ad accoglierlo come si dovrebbe: nient’altro che una versione meglio registrata dell’album di esordio To Lose My Life.

Chiamatelo v. 2.0, reboot, remake, versione rivista ed aggiornata: questo album non aggiunge nulla che non sia già stato suonato e sviscerato nel precedente: anzi insiste su clichés che la band ha già largamente utilizzato e li ricicla senza vergogna per confezionare questo secondo capitolo che è una mera copia fotostatica di quello che i tre londinesi ci hanno proposto come opera prima.

Alcuni potrebbero chiamarlo stile o marchio di fabbrica, oggi sono qui per svelarvi l’inganno e chiamarlo con il suo vero nome: carenza cronica di idee.

Nonostante una rinnovata produzione a cura di Alan Moulder (Jesus & Mary Chain, Depeche Mode), che giustamente è riuscito a dare una sferzata al sound delle chitarre  (più che altro alzando i volumi all’arrivo dei ritornelli) ora queste risultano meno drown e più radiofoniche certamente, ma l’aspirazione di band minore che il terzetto si è dato, sempre all’inseguimento e mai leader di una scena, non permette di sfornare canzoni che colpiscano fino in fondo: sì, piacevoli, ma mai coinvolgenti e con melodie sempre giocate sul filo del già sentito.

Partendo da momenti di puro auto-citazionismo come in Bigger Than Us, non a caso primo singolo, è inquietante ritrovare nell’ascolto delle canzoni strani rimandi a hit radiofoniche del passato: Bad Love non sembra forse I Breathe dei Vacuum? Is Love non è lo stesso incipit di Don’t Cry for me Argentina di – gulp! – Madonna? Turn the Bells non è forse un brano a random dei Depeche Mode? Streetlights non sembra un pezzo degli Editors in versione elettronica?

Non sto qui a dire che questa seconda uscita sia un disastro totale, gli album brutti sono ben altro, ma davvero possiamo qui assolvere questo Ritual, che si barcamena fra un copia/incolla di sé stessi ed un copia/incolla di (ben noti) altri?

Con estremo buon senso, l’accusa.

LA DIFESA

Avv. Emanuele Binelli

Non è chiaro come mai, di questi tempi, un gruppo al primo disco sia da osannare, mentre quando comincia ad ingranare e a fare al meglio le cose che sa fare, sia normale affrettarsi a distruggerlo.

Viene piuttosto da pensare che ci sia in gioco il potere degli scribacchini, che vorrebbero essere su un palco, ma non lo sono, e che trovano magra consolazione, ma pur sempre una consolazione, nel gioco di avere in pugno l’hype e il clamore dietro a una band, e di poterlo pilotare: pollice su o pollice giù, come l’imperatore al colosseo.

Non si spiega altrimenti come un secondo disco, non solo a livello, ma decisamente più raffinato della new wave-indie poco originale del primo lavoro, venga da più parti distrutto e liquidato come una schifezza.

Il copia-incolla? In questo tipo di proposta a me non pare affatto uno scandalo, considerato quanto gli altri capofila del genere, dagli Interpol agli Editors, fino agli ultimi, apprezzatissimi A Place To Bury Strangers, siano debitori insolventi di mille altri gruppi del passato, e non ne facciano certo mistero.

Vi voglio invece dare due buoni motivi per ascoltare con vivo interesse questo disco:

la produzioneAlan Moulder (che dal link potete rendervi conto di chi si tratta, se non ve ne siete fatti un’idea) regala ai White Lies il tono che avrebbero dovuto avere fin dall’inizio, con un’iniezione di stile che è quasi un’operazione di genio: raggela i loro synth, rende quasi elettronico il rullante della batteria, pompa il beat a mille, e fa dei brani dei White Lies dei coattissimi inni radiofonici anni ottanta. Un modernariato rock inventato dal nulla che riscopre e apre nuove possibilità stilistiche per un genere in debito di ossigeno ormai da qualche anno.

L’innovazione – Il disco è bello, vanta pezzi potenti, e compie l’importante missione di suonare vintage e nello stesso tempo fresco e carico di futuro, come se radio M2O fosse improvvisamente posseduta da uno squadrone di nerissimi dark. Gli Editors ci hanno provato. I White Lies ci riescono.

Cari giurati, una cosa è però evidente: se dentro a questi brani ci vedete Madonna, allora significa che state guardando il dito e non la luna.

Copia-incollatamente vostro, la difesa.