Band of Skulls – Sweet Sour

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A tre anni  dal predecessore Baby Darling Doll Face Honey, il trio di Southampton Band of Skulls torna in circolazione, per rivoltare ancora una volta le tasche del loro istinto musicale sul piatto dell’ispirazione che li ha fatti grandi “veterani” sulla scena underground. Tornano per far banchettare – con le loro melodie a flanger e con l’hard blues armato da pedaliere agguerrite – ombre e luci accecanti del loro comprensorio. Praticamente angeli e demoni in un’unica personalità sui bordi di una suggestione mal celata.

“Sweet Sour” è il disco dell’estetismo pregnante, molto più condensato di quello che la band ci ha dato modo di sentire fino a ieri: fumigazioni, pressing e cordami elettrici sporchi si alternano con filiere di grazia poetica, ballatone segmentate col sangue misto di  White Stripes/ Dead Weather  “Sweet  sour”, “The devil takes care of his own” che si guardano a distanza con le rarefattezze vocali di “Close to nowhere”, “Navigate”. E poi il suono vissuto dei Black Keys in “You’re not pretty but you got it goin’ on”, che va in collisione con le delicatessen folky che si sganciano da “Hometowns” o “Lay me head down”; il dualismo vocale di Emma Richardson e Russel Marsden (bassista e chitarrista) si compenetra in un accordo benefico e accomodante, tanto da sfiorare in alcuni picchi come nei richiami sixties dei Byrds, una delicatezza insperata tra le fiamme oscure che disegnano la cifra stilistica dei QOTSA.

Anche la sezione ritmica di Matthew Hayward è un’organismo a sé, batte e controbatte le asperità e i tessuti molli di una tracklist in guerra e pace costante. Altrove Sweet Sour è un disco breve e dai forti contrasti, che racconta di diavoli che si scambiano passionevoli confronti, timbri e rotte lungo una sorta di codice genetico conosciuto da tutti ma che nessuno conosce fino in fondo.