Dinosaur Jr – I Bet On Sky

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L’invasione dei Riformati è ormai una tendenza dalla portata e durata tali che non sarà azzardato tentare di delineare una piccola fenomenologia, suddivisa per tre macrocategorie. Ci sono quelli che si riformano perché hanno qualcosa di totalmente nuovo da dire (vedi i casi, più unici che rari, di Portishead e Mission of Burma), quelli che lo fanno perché non hanno più niente da dire (vedi, su tutti, il caso Smashing Pumpkins) e quelli che non hanno più niente sul conto in banca, e prendono la scusa per farsi un bicchiere con gli amici del tempo e mettere una pietra sopra a quella brutta storia di donne/soldi/brutto trip da acidi (e qui vedete voi che nome metterci, che noi ci abbiamo il nostro daffare).

Da bravi mediani, i Dinosaur Jr si piazzano a metà tra la prima e la seconda categoria, tenendosi a dovuta distanza dall’ultima. Tra tempo e distanza, i maldipancia tra Mascis e Barlow si saranno anche affievoliti, ma intanto pare che il secondo abbia ancora la tremarella nel presentare i compiti scritti a casa all’insindacabile giudizio del leader. Lo fa comunque, e stavolta firma ben due pezzi, I know it oh so well e Recognition.  E poi non c’entrano, o c’entrano poco, i soldi, che non erano troppi prima e anche ora non bastano per lanciare una reunion in pompa magna. Ma ve lo immaginate voi un ritorno a tappeti srotolati per i tre dinosauri? Ecco, appunto.

Se la regola del terzo album vale anche dopo le ripartenze, da questo I bet on sky è la riconferma di un discorso ripreso da dove lo si era interrotto – soprassedendo magari sulle prove meno a fuoco. Niente di davvero “nuovo” da dire, ma qualcosa di altro sì, e spesso anche all’altezza di quanto detto in precedenza. Guai a bersi la storia delle tastiere, che un paio di note su Don’t Pretend You didn’t know non fanno primavera. È, manco a dirlo, un disco di chitarre, come il precedente Farm ma meno sbrodolone; come il primo Beyond ma più compatto anche se, forse, avaro di canzoni memorabili. Solo piccole sfumature in un monolite di suono, e dopo quasi trent’anni di elucubrazioni si rischia davvero di dire sempre le stesse cose. E ci vorrebbe il talento e la tenacia di J. e i suoi per saperle rendere ancora interessanti.