Wilco – Teatro della Concordia, Venaria (TO) – 12/10/2012

Attitudine e Visuals: lampade “tipo Ikea” che pendono dall’alto, una parete da scalata simil-dolomitica sullo sfondo e un gufo fatto a maglia che sbatte gli occhioni a corredare la postazione del tastierista. Ti stai appunto domandando se sia più corretto definire l’arredo scenico po-mò o semplicemente imbarazzante, ed eccoli che arrivano loro a levarti ogni dubbio. Neils Cline con la sua ormai classica – orribile – camicia a pois; Jeff Tweedy poco più a destra, cappellaccio e leggero appesantimento ( e lorsignori qui dietro non mancano di farglielo delicatamente notare a forza di “cazzo di obeso” e affini); Glenn Kotche è già madido di sudore dal terzo pezzo, e i due giovanissimi schierati sulle fasce laterali. ‘Casual’ come possono esserlo solo dei turisti americani in visita nel Bel Paese, i Wilco sono gli eredi più credibili della Band persino nella disinvoltura del guardaroba.

Audio: la Reggia Savoia, a pochi chilometri da qui, avrebbe forse reso un miglior servizio alla dimensione scenica, ma già che gli auspici per la platea possono essere ottimistici solo fino ad un certo punto (e che di sedi apposite per i concerti rock non ce ne sono) tanto vale avvantaggiarsi della struttura relativamente nuova del Concordia. Buona per le prime file, l’acustica si sperde un po’ a fondo sala. Il resto lo fa il puntiglio dello staff e dei musicisti stessi.

Setlist: Misunderstood apre le danze al posto della collaudata One Sunday Morning, ma tutta quanta la scaletta esce un po’ terremotata rispetto al resto del tour. Molti estratti dall’ultimo The Whole Love, completamente eclissato il penultimo disco ‘del cammello’. Restano i punti fermi (Shot in the arm, Jesus Etc, I’m trying to break your heart, Impossible Germany…) e qualche sorpresa (Passenger Side e Shouldn’t be ashame,  ripescati dritti da A.M. dal lontano 1995) per due ore e mezzo di show quasi senza pause.

Momento Migliore:  si potrebbe optare per qualche ricercatezza o magari finire sul nostalgico andante, ma non ci sarebbe comunque storia: il singalong sulle slide e l’organo di Jesus etc proprio non si batte. Grandissimo cuore.

Pubblico: generalmente il wilcomane medio è un Barba convinto che non va sotto i venticinque-trent’anni d’età, già con una lunga militanza da cultore alle spalle. Qui però qualcuno sfora verso l’alto, e allora ecco il signore maturo, sceso in strada per portare a spasso il cane e immediatamente catapultato nei suoi ‘good old days’ da consumatore di rockaccio anni ’70. Chi sta fuori da qualsiasi statistica anagrafica è il settantenne in prima fila, che va in solluchero alla comparsa della chitarra a doppio manico e batte le mani a un tempo tutto suo, al punto che persino Cline da sopra il palco comincia a sentirsi un po’ sotto pressione.

Locura: il percussionista ballerino seminudo che entra a gamba tesa nel finale dedicato alla Hoodoo Woodoo di woodyguthriana memoria. Ma meglio di tutto, forse, c’è Tweedy che autoinvoca il coro da curva nord  scandendo “wil-co, wil-co, wil-co!” con mimica scimmiesca. Un amorevole sfottò all’italiano calciofilo?

Conclusione: essere un gruppo di musicisti navigati e tecnicamente molto più che solidi non basta a rendere immuni dalle fatiche di un anno e mezzo di tour, per giunta al peso netto di due ore e rotti per ogni set. La possibilità di trovare i nostri un po’ stanchi e “di mestiere” era già divenuta realtà in diverse altre date – qualcuna, pare, anche in Italia. Non è stato il caso di Torino, sede di un concerto magari meno ‘perfetto’ ma, proprio per questo, più sbracato e divertente. Certo, per chi ormai conta qualche anno dalla sua “prima volta”Tweedy e soci sono sempre più una garanzia che non una sorpresa, il rancio “ottimo e abbondante” del quale non potrete fare a meno di chiedere il bis.