Attitudine e Visual: Il Club To Club è probabilmente qualcosa più grande di tutti noi. Io nel mio piccolo provo a raccontarvi la giornata di sabato premettendo che la mia narrativa è necessariamente parziale perché quando si ha a che fare con la metafisica è meglio andarci piano. Arriviamo a Torino verso le 7 causa ritardo treno e non facciamo in tempo a vedere il live di Fatima (che è comunque le voglio un gran bene, è bravissima, sono sicuro abbia spaccato) all’Absolut Symposium, mentre non ci sfugge la piacevole resa estetica di questo albergo adibito a quartier generale del festival. Nella hall e nelle stanze si respira un’atmosfera a metà fra futurismo e localetto di tendenza, senza particolari eccessi, che contribuisce a rinvigorire le nostre coscienze e ad alzare un minimo il livello di autocompiacimento. Più tardi, quando ci sposteremo a Lingotto Fiere per la serata vera e propria, avremo modo di notare scelte molto più minimaliste in termini di visual. Un solo schermo dietro al palco sul quale vengono proiettate le immagini, con giochi di luci limitati a farci capire che la prerogativa è un’altra.
Audio: parlavamo di prerogative, eccovene una: la musica. Il suono è giustamente il protagonista assoluto della serata, merito anche di un’acustica perfetta, frutto di anni d’esperienza nell’organizzazione. Le basse frequenze in particolare dominano la scena, come è logico che sia in queste occasioni.
Setlist: più che di setlist ha senso parlare degli artisti che si alternano nelle due sale durante la serata. Il primo dj ad accoglierci nella sala rossa è Kele, nostra vecchia conoscenza, che a 15 anni avevamo maledetto in vari modi “perché i dischi dopo Silent Alarm fanno cagare”. Ora siamo cresciuti entrambi e il buon Kele sembra aver trovato una sua dimensione house che, se non altro in apertura di festival, ci sta tutta. A seguire, in un ambiente che lentamente va riempiendosi, è il momento di Tiger & Woods e del loro classico revival dance di fine ’70 a là francese. Sebbene il genere stoni un po’ con l’indole del festival, abbiamo modo di apprezzare anche la loro spensieratezza. Ci spostiamo sul main stage dove facciamo in tempo a sentire le ultime note di Clark prima che tocchi a Future Brown, l’interessantissimo progetto di Fatima Al Qadiri con Nguzunguzu, al debutto in Italia. Fanno una roba grime cafonissima tipo M.I.A. con tanto di frontman ad aizzare il pubblico. Inutile dirlo: ci piacciono tantissimo, il singolo Wanna Party è già un inno generazionale e, nonostante siano ancora in fase di rodaggio live, il pubblico apprezza. Quando chiudono, la sala principale è ormai piena e pronta ad accogliere la star della serata: SBTRKT. Aaron Jerome si presenta, fa una intro strana che sembra Bob Rifo col la maschera tribale al posto della solita, poi fortunatamente rinsavisce e propone il dj set che ci si aspettava: hit dell’ultimo disco si alternano a momenti di puro beat di buon livello, realizzando il giusto compromesso fra dimensione pop ed elettronica “colta”. Segue la parte di serata dedicata alla ricorrenza dei 25 anni dalla caduta del muro di Berlino che vede protagonisti: Apparat, Recondite e Marcel Dettmann. Il primo, probabilmente il più noto ed atteso, attacca mettendo giustamente da parte i personalismi, dedicandosi interamente ad omaggiare la capitale tedesca. A differenza di quando lo vidi a Roma, ora Apparat non può far leva sui suoni del momento, deve tornare alle origini: la techno. L’oretta in sua compagnia è piacevole, ma troviamo il caro Sascha un po’ arrugginito, costretto a maneggiare delle sonorità da lui non frequentate particolarmente di recente. All’interno del trittico berlinese proposto dal C2C il suo set sarà forse il meno convincente. Recondite invece, che berlinese non è, e si trova benissimo in Baviera fra le mucche, a Berlino ha mosso i primi passi da dj. Il suo è un omaggio sincero e sentito, da lingotto fiere ci porta direttamente al Berghain, e questa volta siamo anche riusciti ad entrare.
Momento migliore: Verso le 5 è tocca a Marcel Dettmann. A lui spetta l’arduo compito di guidarci verso la mattina. Ecco, se volessi spiegarvi la mia idea di dj set probabilmente potrei limitarmi a citare quest’ultima ora di festival. Marcel Dettmann incarna e sublima il concetto di dj set. Va avanti fino alle sei e mezza alternando momenti di respiro a picchi di imprevedibilità, giocando col pubblico che non vuole per nessuno motivo lasciarlo andar via. Chapeau.
Pubblico: Variegato: si va dall’hipsteria radicale dell’Absolut Symposium ai classici feticisti rave trasandati. Nel mezzo, gente normale che limona un po’ ovunque.
Locura: Mi sembra retorico specificare e descrivere i deliri di un festival del genere. Sono parecchi, fidatevi.
Conclusione: Quando cessa la musica la sensazione è quella del risveglio, la gente si riversa al guardaroba nascondendo dietro qualche battuta, dietro certi sorrisi di stanchezza, un bel po’ di malinconia. Ad impressionarmi veramente però, è stata l’ossessività delle persone, la dedizione nel movimento: nessuno disposto a mollare un centimetro neanche alle 6 del mattino, non uno che si sia fermato un secondo. Forse però non ho molto da sorprendermi, il C2C in fondo altro non è che un colossale rito collettivo ricorrente sfortunatamente una sola volta l’anno. Spaesati ed in preda all’incertezza dei tempi ci affidiamo ad un beat che si ripete, ad una cassa in 4/4 che torna, sempre uguale. E mentre freneticamente ci agitiamo, interiormente, per una sera, siamo calmi.