Fatima Al Qadiri – Asiatisch

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Come per El Mahdy Jr ( Qui trovate la recensione di “The Spirit Of Fucked Up Places” del 2013 e qui dell’Ep “Gasba Grime” edito quest’anno), anche Fatima Al Qadiri rientra nel novero degli artisti abili nell’utilizzo della musica Grime, come perfetto strumento d’espressione politico/sociale: ma non solo. Nata a Dakar per via delle frequentazioni diplomatiche del padre politico, Fatima assaggiò il Senegal solamente nei primi due anni della propria esistenza. Seguì un’adolescenza vissuta in Kuwait, per poi approdare negli States ancora non maggiorenne. Curiosa e appassionata, fece valere la propria borsa di studio conseguita sulle sponde del golfo Persico alla New York University: dove conseguì la laurea in “Linguistica”. Un “caso fortuito”, come lei spesso lo definisce (Poté usufruire solo a N.Y della propria borsa di studio, e colse la palla al balzo), che la influenzerà positivamente nel seguente percorso artistico.

Nel 2004, quando visitò Londra, non era così ferrata sull’argomento: “Grime”. Nessuna delle persone che frequentava si recava nei club di quel tipo, preferivano la discoteca, dove lei non aveva ancora accesso. Tutto, nacque bizzarramente dal download, illegale o meno, grazie al quale poté farsi le ossa – Immaginate quanto possa essere importante questa peculiarità, che noi diamo per scontata, vista dall’ottica orientale Ndr-  e dall’incontro con J-Cush (Future Brown), o meglio “L’enciclopedia vivente del Grime”, come lei lo chiama. Una carriera che la vede oggi sbocciare con un esordio su lunga distanza per nulla adiacente ai remix ed agli Ep che lo hanno preceduto.

Benché l’artista non sia così incline a certa terminologia atta ad inquadrare la propria arte, quello che possiamo dire senza ombra di dubbio è che siamo al cospetto di una performer dalla potenza concettuale inesauribile. Questo, lo si evince fin dal titolo di un’opera che si presenta destrutturante e conservatrice al tempo stesso. Asiatisch (Asiatica, volutamente in Tedesco) tende all’allontanamento di ogni dinamica anglofona (Si parla di Cina), sebbene venga adoperato un linguaggio occidentale. Questo punto di vista, e non credo sia un’analisi peregrina, mi ha ricorda in parte l’esperienza Tedesca che portò ad una riconosciuta identità Nazionale, il Krautrock. Ovviamente, al netto della sofferenza derivata da un contesto storico post bellico. Il ricordo di certi approcci iniziali, certe fusioni, per esempio quelle messe in atto dai primi Monks, – Il linguaggio Rock’n’Roll espresso dai cinque Americani di stanza a Francoforte, non era altro che la riproposizione di certi stilemi a stelle e strisce, portati allo sfinimento per un pubblico ancora segnato nel profondo Ndr -. Piccole gocce di consapevolezza indiretta.

In questo contesto, l’artista scelse di analizzare la faccenda disegnando una Cina virtuale a tre strati: quello rappresentato dalla Cina antica, da quella attuale e da quella che sarà. Il primo sentore ad emergere è sicuramente quello legato al passato. La Cina della tradizione viene qui spesso evocata attraverso la citazione di poesie antiche, patrimonio a mandorla, presenti all’interno di episodi quali: Wudang, Loading Beijing e Jade Stairs. Tradizione che affiora orgogliosamente come richiamo a quell’identità oggi macerata dalla stessa brama di potere che muove l’occidente. L’opener “Shanzai” ne è la prova fin dal concepimento. Originariamente pensata dal collettivo “Shanzai Biennal” come apporto video, finì col diventare una collaborazione fra le parti; il collettivo stava preparando un video utilizzando una versione di ” Nothing Compares 2 U” (Sinead O’Connor) trovata su YouTube e cantata in una lingua che del mandarino conservava solo il richiamo fonetico. Allora, chiesero ad Helen Feng di cimentarsi con questo testo senza senso, restituendo a Fatima la traccia contenente la voce a cappella della Feng, con un’avvertenza in merito alla composizione delle musiche: che sia “Cheap Chinese Instrumental”. E così lei fece. Certo, il proprietario della Hyperdub, Steve Goodman avrebbe un nome per tutto questo, ovvero: “Sino-Grime”, ma non ditelo mai a Fatima.

Degna di nota è anche la metodologia compositiva che dipinge un quadro di pop song non-risolte. Si tratta si sensazioni, umori, abbozzi narrativi “volatili” non pienamente conclusi: qualcosa che possa lasciare l’ascoltatore libero di viaggiare con la propria fantasia sul porto profumato di Hong Kong, appunto. Una evoluzione da “Mille e una notte” che incarna la volontà di lasciar spazio ad un seguito della faccenda ogni sera, per dirla breve:

Lasciare qualcosa di aperto è una forma di chisura

Forse, anzi sicuramente, oggi il Grime non detiene la stessa gittata mediatica di movimenti passati e ben più altisonanti, e forse neppure pretende di averla, ma certamente sta offrendo uno strumento prezioso per sdoganare e riflettere sulla fantasiosa brutalità culturale in seno a realtà fin’ora rimaste all’ombra dell’occidente.

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