Quando si va a un concerto dei Wilco, si va sul sicuro: difficilmente ci si ritroverà davanti a una mezza delusione. Vere e proprie macchine da guerra live, con una produzione alle spalle impeccabile, valanghe di chitarre da cui Jeff Tweedy pesca cambiandone quasi una per pezzo, e musicisti di livello eccelso, basti pensare a quali autentici fuoriclasse siano Gleen Kotche e Nels Cline, i loro show non presentano mai delle incognite dal punto di vista della qualità. La bellezza complessiva è sempre fuor di dubbio, insomma. Le uniche variabili per commentare più o meno positivamente un loro concerto possono al massimo riguardare scaletta, trasporto emotivo, partecipazione, resa acustica e ripetitività o meno delle esecuzioni. Ma andiamo con ordine e vediamo come è stato questo nuovo appuntamento italiano con il miglior roots-alt-rock d’oltremanica, aperto da un altro grande nome, l’altrettanto atteso Kurt Vile assieme ai suoi fidi The Violators.
Attitudine e visual
Ferrara Sotto Le Stelle non ha bisogno di grosse presentazioni, ma per chi non ci fosse mai stato, i concerti in piazza Castello godono indubbiamente di un valore aggiunto grazie allo splendore archittettonico che li circonda. Palco delle grandi occasioni per uno dei concerti estivi più attesi dell’anno, dunque, per accogliere l’accoppiata Kurt Vile, ormai ex nuova promessa del cantautorato elettrico americano accompagnato dai The Violators, e la più grande live band attualmente sul pianeta, il carico da mille dei Wilco. Palco grandioso ma anche semplice nel visual: se per Vile non ci sono scenografie di sorta sullo sfondo, per i Wilco una semplice pioggia di lucine a richiamare le “Star Wars” del loro ultimo disco, che si sposano perfettamente con il nome del festival che qui li ospita.
Audio
Acustica assolutamente perfetta. Poteva esserci il rischio che una band tecnicamente così puntugliosa e complessa come i Wilco risultasse più moscia all’aperto rispetto a location come teatri o auditorium creati appositamente per esaltare la classe e la perizia di certi musicisti, o anche la delicatezza di certi pezzi, ma il dubbio è svanito immediatamente. Tutto funziona al meglio, ed anzi, è un vero piacere scoprire la carica pazzesca della band di Chicago in una venue così. L’azzardo finale di proporre tutto il bis esclusivamente in chiave acustica risulta, poi, tuttosommato riuscito, anche se è chiaro che un palco e una platea del genere non rappresentano esattamente condizioni ideali per queste cose. Anche per questo abbiamo sperato in un secondo bis che ci restituisse la carica elettrica che avevamo sentito nel resto della serata. Ma così non è, e contrariamente alle loro abitudini lasciano il palco dopo aver suonato “solo” per due ore scarse.
Pubblico
Il pubblico dei Wilco – che in questo caso si confonde alla perfezione con quello di Kurt Vile – è il miglior pubblico possibile. Gente interessata alla musica, gente che se ne frega della coolness. Percentuale di nerditudine e hipsterismi contenuta, gente ordinata, tranquilla, rilassata che si vuole godere la serata senza strafare. Ci sono famiglie con passeggini, ci sono anche i fanatici della band senza grossi eccessi: tutti accomunati dalla voglia di divertirsi ma soprattutto di ascoltare gran bella musica. Non ci sono resse alle transenne, ci si sposta agevolmente all’interno della folla, si arriva con tranquillità anche sotto palco. Un pubblico non per questo freddo, anzi, tutt’altro: sarà parte integrante della riuscita dello show, riuscendo a creare un legame speciale con Jeff Tweedy, che interagirà spesso con la platea cantante e adorante. A partire dalla terza canzone in scaletta “I Am Tryin To Break Your Heart”.
Locura
“Oggi è il 4 Luglio e per noi è davvero strano passarlo suonando dentro un castello in Italia. Siamo molto colpiti da questa cosa: sembra quasi che questo sia il nostro ultimo 4 di Luglio”.
Jeff Tweedy è sorridente e rilassato, si sta divertendo molto a far vibrare con la sua musica Piazza Castello, questa sera: l’atmosfera è davvero magica e perfetta per i suoi Wilco. Piazza questa frase, così, nel mezzo del set, dopodichè fa partire “Jesus Etc”, una canzone simbolo del loro repertorio, decadente e malinconica quanto basta a sentire i brividi lungo la schiena, di nuovo, anche se l’hai sentita talmente tante volte che quasi pensavi di poterne fare a meno. Ma dopo quella frase, lanciata così forse alla leggera a inframezzare il set, ti senti in un posto speciale, in un momento unico e forse irripetibile. “Our Last Forth Of July” sa di eterno, di epocale, di storico. Cosa avrà voluto dire? C’è persino qualcuno a cui è passato per la mente che i Wilco possano essere, quindi, vicini allo scioglimento. A noi è parso solo un modo per rendere solenne il momento, ma qualsiasi cosa avesse voluto dire, ci consola quel “Our Love Is All We Have” che risuona nell’aria.
Momento migliore
Arriva a metà concerto quando la chitarra acustica intona le note iniziali di “Via Chicago”, consueto momento clamoroso dei loro set, quando chiunque stia assistendo per la prima volta a quella cascata di rumori, dissonanze, folli percussioni sulle pelli di Kotche rimane inevitabilmente estasiato. Sì, i Wilco fanno questo ai loro concerti: piazzano delle tempeste rumoristiche sublimi su pezzi che sanno di classico come quelli di Dylan o di Guthrie. Anche se da disco la questione è palese, e tutti sanno quale sia il loro valore nella storia del rock proprio per questo, la potenza dei loro live, da questo punto di vista, spiazza sempre. E mentre sei lì che ti chiedi come diavolo stiano provocando tutto ciò, parte un altro pezzo incredibilmente eseguito come “Spiders: Kidsmoke”, la canzone che piace persino ai loro più incalliti detrattori, un’ipnotica e infinita cavalcata chitarristica che questa sera suona straordinariamente bene. Complice anche un Jeff Tweedy in grande forma con la chitarra, che sembra quasi inscenare una “guitar battle” con i virtuosismi – sempre ottimi ma a tratti estenuanti, concedetecelo – di Nels Cline, prodigioso chitarrista di estrazione avant-gard jazz prestato al rock’n’roll. E anche questa volta rimaniamo davvero senza parole.
Conclusioni
Mentre per i Wilco la questione della qualità del loro set non era in dubbio, molta era la curiosità circa il live di Kurt Vile accompagnato dalla sua band. Il ragazzotto di Philadelphia, del quale raramente riusciamo a scorgere il viso del tutto risucchiato da quei suoi lunghi boccoli alla Robert Plant, se la cava discretamente, anche se è chiaro che il palco non sia proprio il suo habitat naturale. Voce nasale dall’intonazione stanca, rapporto con il pubblico prossimo allo zero, tenuta on stage degna dei più incalliti shoegazer a capo chino, Vile non riesce a conquistarci, nonostante la qualità del suo repertorio. La troppa storpiatura dei pezzi famosi, la conduzione un po’ automatica del live ci lascia un po’ di noia e distrazione, e non possiamo dunque sfatare quella leggenda che lo vuole deludente e sotto tono nella veste dal vivo.
Esattamente l’opposto per i Wilco che nonostante non sfornino più dischi-capolavoro da qualche anno ormai, dal vivo si confermano in grandissima forma. Ormai rodatissimi con una formazione stabile da dieci anni, eseguono tutto con scioltezza e grande intesa di gruppo, riuscendo così a lasciare spazio alla rilassatezza e al divertimento. Lo conferma anche lo stato d’animo di Tweedy, mai visto così sorridente e accogliente verso il pubblico: sembra ormai un lontano parente di quel tormentato frontman che soffriva di emicranie impossibili da domare. Serata complessivamente ottima, anche se rimaniamo leggermente delusi dalla scaletta un po’ troppo scontata da “best of” che al contrario, avrà sicuramente fatto felici coloro che li vedevano per la prima volta. Sono mancate un po’ le sorprese, i ripescaggi meno attesi. Le canzoni meno suonate live sono arrivate nel bis: non sempre, infatti, vengono inserite in scaletta “Always In Love”, “Misunderstood”e “California Stars” ma l’amaro in bocca di sentire le prime due in versione acustica, pezzi che a nostro avviso sono dotati di una carica che risulta troppo stemperata suonati così, ci toglie anche un po’ il piacere di ascoltarle. Ma sono punti di vista, con tutta la loro soggettività opinabile; ciò che è ancora una volta è oggettivamente assodato è che i Wilco rimangono ancora oggi una band di un altro pianeta.
Scaletta
01 – More…
02 – Random Name Generator
03 – I Am Trying to Break Your Heart
04 – Art of Almost
05 – Pickled Ginger
06 – Hummingbird
07 – Handshake Drugs
08 – Cold Slope
09 – King of You
10 – Via Chicago
11 – Spiders (Kidsmoke)
12 – Jesus, Etc.
13 – Box Full of Letters
14 – Heavy Metal Drummer
15 – I’m the Man Who Loves You
16 – Dawned On Me
17 – Impossible Germany
18 – The Late Greats
Encore:
19 – Misunderstood
20 – War On War
21 – I’m Always In Love
22 – California Stars
23 – A Shot in the Arm
Quand