L’incipit è del tutto suggerito dal sito ufficiale della band, e le mille domande sul ruolo del pavone in questa storia prevedibili. In buona sostanza si tratta di una metafora sull’idea stessa di vanità che pervade la figura dell’animale vanesio per eccellenza: ché se avete mai guardato negli occhi un pavone, a ruota chiusa, vi sarete resi conto quanto, alla fine della fiera, si tratti di un piccione un po’ più colorato. Lo stesso vale per le persone.
Gli opposti fanno un giro completo e arrivano a toccarsi.
Se cercate un’etichetta nel tentativo di capire se offrire o meno una chance alla band pratese, forse la miglior definizione possono fornirvela direttamente loro: si dichiarano Post-Mediterranei, e non hanno tutti i torti. Certo, perché nella musica dei Solki, soprattutto nell’ultimo episodio “Peacocks Eyes” (appunto), convergono svariate peculiarità musicali tipicamente riconducibili al nostro territorio (su tutti il comparto melodico, la melodia in sé), con altrettanti ingredienti di carattere internazionale.
Loro e Alessandro Fiori (alla produzione), un sodalizio che viene da lontano; specie se pensiamo che la band è nata contemporaneamente alla sua etichetta, la Ibexhouse, e che le registrazioni del nuovo lavoro si sono svolte nel casentino, praticamente a casa di Fiori.
Un suono scarno, crudo, quello dei Solki, che lavora per sottrazione privandosi, in questa formazione, dell’uso del basso. Chitarre, voce e batteria, violenza controllata riconducibile all’afflato infantile – quindi in un certo senso brado – dei primi cartoni animati del novecento.
Dream-Punk, ma non come lo intendete voi.
Qui il senso è stretto. Non tanto nella promulgazione di un’ideologia, quando nel significato intrinseco: “Cosa sogna un punk quando dorme?“. Vai a capire. Il tutto può essere ricondotto alla violenza di sdegno, come all’evasione tout court; sicuramente l’idea che i nostri trovano più plausibile è avvicinabile ad una riscrittura della realtà, in toto. La figura del Punk rocker come sognatore? Si, anche.
Serena Altavilla, Alessandro Gambassi e Lorenzo Maffucci sono pronti a metabolizzare i veleni che si producono e che si ricevono vivendo nel contesto sociale odierno, spostando il baricentro verso le dinamiche notturne: è infatti nell’oscurità (necessaria) della notte – per riposare dallo sfinimento giornaliero, per riflettere, ma soprattutto per mollare le briglie –, che emergono le risposte variopinte di un inconscio – forse unico vero attore Punk della commedia – capace di fornire suggerimenti su come smarcarsi dalle certezze.
Utilizzando pavoni, ma anche pavone – come in “Lizas for all” (da “Peacocks Eyes“), dove il riferimento è alla Minelli, per un cameo in onore dell’artista statunitense da parte di Serena; benché il pezzo non parli direttamente della diva di Cabaret (Oscar nel 1973) –, i Solki tratteggiano un punto di vista condivisibile incentrato sull’osservazione esterna della realtà, sopraelevata potremmo dire. Buono per osservare i contrasti di una socialità immersa in un gioco di maschere che spesso nasconde la disperazione del non accettarsi, promuovendo: “il coraggio di ammirare anche il brutto delle cose belle“.