Attitudine e visuals: Una fattoria della Virginia idealmente proiettata al Circolo degli Artisti; tre fratelli, Van, Lain, e Jennings Carney, pronti a far rivivere la loro “comunità” musicale, miscela di anacronismo e modernità, noise e psichedelia, stoner, folk, southern rock e blues. I Pontiak si presentano con barba incolta e look da hippie-freak anni Novanta, immersi in una misteriosa coltre di fumo per tutta la durata del live; sagome di basso, chitarra e batteria solo percepite, sound carico e rovente quasi unicamente da ascoltare. Lain lacera la batteria con colpi rullanti e incendiari; il cantato di Van è solenne; Jennings muove le corde oscure del suo basso; di tanto in tanto i riflettori lasciano scorgere i loro profili irsuti.
Audio: Gli amplificatori sprigionano volumi ad alte frequenze. L’acustica lascia molto spazio agli strumenti, meno alla voce. Il cantato si sente poco; dell’apparato strumentale è invece udibile ogni piccola sfumatura. La musica dei Pontiak, d’altronde, va ascoltata mettendo in risalto la potenza ritmica della macchina orchestrale.
Setlist: I brani si susseguono vorticosamente con eleganza e pochi intermezzi. L’Intro è affidata alle vibrazioni criptiche di Young, tratta dall’ultimo album Living. Si avanza con le distorsioni solenni di Lemon Lady; si afferrano le voci omofone di bassista e chitarrista con This Is Living; si procede all’ascolto con Laywayed, Aestival, Thousand Citrus, White Hands e Shell Skull (entrambe da Sun on Sun). Il live culmina in un bis fulmineo e d’impatto.
Momento migliore: difficile da scovare, visto l’avvicendarsi frenetico dei pezzi e l’impeto di emozioni calde e febbrili generate dal sound dell’intero live.
Pubblico: Tanti Barba con leggere spruzzate di Sinapsi e Occhi chiusi alquanto invasati, per un target d’età che oscillava tra i venti e quaranta/cinquant’anni. Tra gli spettatori anche Michael Pitt, interprete di Last Days, Funny Games, The Dreamers e, sfortunatamente per lui, Dawson’s Creek.
Locura: Due ragazzi del pubblico che ciondolavano invasati e inspiegabilmente a ritmo di musica… forse in preda ai fumi coreografici o probabilmente pervasi da qualche altra sostanza “soddisfacente”
Conclusioni: Un’esibizione coinvolgente, fatta di sapienti esplorazioni acustiche e tumultuosi incanti strumentali, totalmente avvolti dalla suadente “nebbia” sonora.
Le foto non si riferiscono alla data recensita