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27 Settembre 2011 | Anti.com | Tinariwen.com |
Imidiwan Matanam
Il blues del Mali, gli uomini blu del Mali e la malìa del Mali; è tutto qui dentro, nella loro musica, il Tishoumaren, un’ipnotica mescola di blues desertico, limature rock, world e sangue Tuareg che fa di questo stupendo nuovo album “Tassili” dei Tinariwen un’altro viaggio assolato e ricco d’oasi sonore da rimanerci sotto.
Africa porta del mondo, Mali serratura per la combinazione delle vie sconfinate dei suoni; non ci sono più le chitarre elettriche che avevano in qualche modo “modernizzato” le precedenti espressioni discografiche del combo, ma un ritorno all’acustico e alle eco del deserto, alle cantilene ancestrali di tradizioni perse e rincontrate nelle notti senza fondo della storia e che riportano nella semplicità l’agilità contaminata d’altri mondi, altri uomini, altri idiomi musicali; a riprova di queste “stupende intrusioni” meticcie girano nel disco le presenze di Kyp Malone e Tunde Adebimpe dei Tv On The Radio e il chitarrista dei Wilco Nels Cline che, senza apportare chissà quale alchimia, si limitano a fare sustain sulle melodie eseguite merlettando sofficemente la limpidezza delle strutture portanti d’ogni singola nota.
La fascinazione è totale, l’insieme di voci e strumenti che fanno ping pong tra roots e piccole diavolerie d’oggi danno un risultato vistoso e appassionato che va a rivolgersi – oltre il pubblico di cultori di sonorità indipendenti – anche a chi di questi incanti ne mastica poco o addirittura niente; un album veramente diverso che parla a tutti di pace proprio da lì, da quei confini di guerra con la Libia , è la sua risposta garbata e non violenta agli accadimenti, è la forza di questo strano blues dall’anima di sabbia che acquieta e fa riflettere le dune della sensibilità.
Come in un gioco spirituale dilatato, nel disco – molto spesso è un solo accordo a tenere le file armoniche – le tramature lasciano spazio all’immaginazione e a sconfinati miraggi uditivi che ti si appiccicano alla pelle e non ti lasciano, specialmodo le “gobbe di cammello” che paiono sostenerti quando l’immaginifica “Imidiwan ma tennam” passa dinoccolata sul lettore, oppure la giungla intricata di svisi acustici con Malone e Adebimpe in “Tenere taqqim tossam”, il pop che fa capolino in “Walla illa”, la preghiera solitaria “Tameyawt” e la ballata field che sposa benissimo il contrasto del deserto “Iswegh attay”, ballata che ventila aria fresca e una colonialità dai colori americani.
Si, il Mali è la filiale sonora africana dei baton rouge d’Alabama, il Mississippi di carovane sulla via del sale è la residenza estiva di Sua Maestà il Diavolo, quel satanasso indemoniato che del blues ne fa gravidanze a ripetizione per una demoscopea di classe sempre superiore.