Clark – Clark

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‘The Ship is Flooding’: ma la nave non è una nave e l’acqua non è acqua. L’onda anomala di suono si congela nel suo punto più alto per creare una barriera cinematografica di cold techno contro cui si staglia l’ottavo lavoro di Chris Clark. L’opera prende il nome del suo creatore, come un battesimo tardivo, coscienza che diventa autocoscienza della propria arte. Emancipazione, infine, che lo eleva al pari dei grandi di casa Warp – nell’anno del ritorno di Aphex Twin. Che lo eleva al pari dei grandi della techno – nell’anno di Perc, e Untold su tutti.

Quattro mesi di isolamento in un granaio nel mezzo della campagna inglese, dodici ore di lavoro al giorno. Metodo e disciplina, il contatto con gli elementi della natura. La ricerca del lato misterioso e malevolo di essa, e del modo di riprodurlo e miscelarlo con qualcosa in più, quel je ne sais quoi che renda il disco allo stesso tempo sia imprevedibile che meccanico.

I wanted to let the weather in with this album. It’s outward looking, it’s drenched in sounds of the outside world, sounds free from human intervention: branches crackling in the wind, storms brewing, the stillness of settling snow. It’s all in there, amongst the moreish crunch of industrial machinery

Una session di quattro mesi che porta come risultato un monolite di techno in cui ogni canzone ha la sua propria forma dentro al tutto. Come lo stesso Chris Clark dice, non una collezione di tracce ma un lavoro unitario, da riprodurre come se fosse un film. Entrée da grande schermo, ‘The Ship is Flooding’, su cui scivola una freddissima ‘Winter Linn’, poi ‘Unfurla’: la leggerezza del passo di una volpe nella neve.

It started sounding really wintery, and it became quite a theme. My manager told me that if I finished it by the end of July, we could get it out in November. And then I started thinking about people buying the record, and it would be really cold in Berlin and Europe around then, and that could feed into the vibe of the record

L’eleganza di ‘Strenght Trough Fragility’, precede l’eco di un piano malinconico che ci guida verso ‘Sodium Trimmers’: la schiacciasassi del disco, una cassa dritta impazzita, con accompagnamento di vocalizzi paranoici e latrati. Non c’è spazio per l’indecisione: una traccia guida verso l’altra, frutto di un lavoro di cesellatura che ha tolto tutti gli eccessi ma mantenuto una struttura ritmica senza sbavature. La struttura si fa sempre più intensa – Banjo – fino a confluire nei vocalizzi cristallini di ‘Snowbird’: grazia e freddo, ancora una volta. Teatralità. Nuvole di piombo su cui si stagliano leggiadri campanellini, ma non è un raggio di sole, è la tormenta.

Ci fa ballare incessantemente per 48 minuti, Clark, per poi lasciarci con un outro altrettanto cinematografica, stremati, al bagliore di un virginale, splendente grido. A chiederci se sia la quiete dopo la tempesta, oppure un monito di Eliotiana memoria: Così il mondo finisce / Non con uno schianto ma con un lamento.
[schema type=”review” name=”Clark – Clark” author=”Stella De Minicis” user_review=”5″ min_review=”1″ max_review=”5″ ]