Attitudine e visuals: Serata improntata all’essezialità, che mette insieme due solitari del palco a dividersi la serata, e altrettanto scarno è l’addobbo visivo. Micah P Hinson offre qualcosa più, sia in termini di tempo che di intensità, di una semplice apertura del concerto. Palco spoglio, solo accurate penombre. A dispetto della sfiga che vuole comunicare con la musica e la voce lui, al solito, si veste da manichino indie-H&M, camicia a scacchi, bretelle, cravattino e cappellino di velluto con visiera calato sugli occhialoni nerd. Compare due volte la moglie a fargli i cori, indossa un mesto poncho freakkettone ma beige. Il tutto fa esaltare la meravigliosa chitarra bianco-latte. Pallett è invece in tenuta emo-gay, con ciuffo e cardigan scuro lunghissimo su camicia bianca. Dietro di lui proiettati dei visuals piuttosto inutili. In effetti delusione: anni fa ero capitato ad uno di quegli scellerati abbinamenti che il Circolo faceva tra due gruppi diversissimi in doppio concerto. Ero lì per i Forward! Russia, credo, ma intravidi il live set di Pallett molto bello con un palco molto scenografico e dei giochi d’ombre proiettati alle sue spalle. Peccato.
Audio: Molto buono. E non era facile. A dispetto della poca strumentazione, se per Micah P Hinson l’equilibrio voce-chitarra era cruciale, il live di Owen Pallett si basava su sovrapposizioni di violino e drum machine attraverso loop e delay. Tutto alla perfezione, secondo il mio modesto udito.
Setlist: Micah spazia abbastanza tra i suoi quattro album, più una splendida cover di Elvis. Sempre in barba all’esiguità degli strumenti a disposizione, riesce magicamente a tenere vibrante l’attenzione ed il rapimento della platea alternando arrangiamenti più tradizionali a cose più coraggiose. Anche Owen Pallett spazia per tutta la sua discografia, anche lui sfoggia una cover (vedi locura), ancor più frastagliata andando a ripescare dai primi ep fino all’ultimo A Swedish Love Story, oltre ovviamente agli album. Tanto che tutta l’operazione, con a supporto un nome che in Italia ha già fatto breccia come Micah P Hinson, il nome “Arcade Fire” che circola nell’aria e un live tutto suo, fa pensare ad una impresa promozionale. Presenti quelle che potremmo dire le “hits” del canadese, This Is A Dream Of Win & Regine, che si riferisce guardacaso alla coppietta degli Arcade Fire, This Lamb Sells Condos, da He Poos Clouds e in chiusura Lewis Takes Off His Shirt.
Momento migliore: A livello di empatia c’è stato un bel momento tra la fine del live di Micah Hinson, che in un set così breve non ha stancato ma è rimasta solo la delizia, e l’inizio di Owen Pallett che con il suo manovrare da apprendista stregone tra loops di violino ha catturato l’attenzione prima ancora delle sue composizioni. Per un momento si è pensato ad una serata davvero riuscita.
Pubblico: …momento che dura poco perchè come al solito il pubblico peggiore d’Europa si fa riconoscere. Venuti in massa per Micah P Hinson ma in clamoroso ritardo sull’inizio, riempiendo il locale a metà del già breve live del cantautore americano, sono usciti e rientrati solo per ammortizzare le 18 euro di biglietto ascoltando il “tipo che suona con gli Arcade Fire” ma in realtà facendo il solito chiacchiericcio indecente romano. Formatasi un’opinione (sbagliata) sono andati via. I Sinapsi son rimasti, i Barba sono andati via subito, i Sorcini non sono mai arrivati.
Locura: …ad assistere e reagire gioiosi alla splendida cover di Odessa dei Caribou erano infatti in pochi ma ne hanno goduto per tutti. Lettura raffinata, cerebrale ma che non ne intacca la coolness. Le risatine di Pallett alla fine di ogni pezzo alla fine ti contagiano.
Conclusione: Nel complesso un live che ha toccato vette che raramente saggiamo nella Capitale. Probabilmente ogni tanto sarebbe servita una scossa. Ma l’idea di una serata orientata alla finta-timidezza di questi due soggetti che sfoggiano altri tipi di grandeur mi è piaciuta molto. Micah ha ormai il piglio del rocker confidenziale ma navigato, movenze e stile tutto suo, mentre Pallett si è destreggiato con quel pizzico di supponenza ostentata che ci sta bene, ma che rischia sempre di far schiacciare le composizioni dalla maestria. Confermati comunque entrambi: pezzi da novanta.
Foto di Owen Pallet sono di Guillermo Arenas
Foto di Mica Hinson sono di Martina Caruso