Interpol – Antics

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Uno dei ritorni più attesi dell’anno, che non delude ma lascia un leggero amaro in bocca.
Diciamolo subito: Antics è inferiore a Turn on the bright lights..
Non possiamo però dire che gli Interpol hanno sbagliato album, né tantomeno canzoni. Sono cambiati, questo sì (maturati è ancora presto per dirlo) e forse non era il cambiamento che molti si aspettavano o volevano. Lode comunque ai 4 newyorkesi, fieri della loro scelta e soddisfatti, come dicono in ogni intervista, del loro lavoro.

Antics suona in modo differente. Si sono persi quei chorus e quei riverberi che rendevano l’atmosfera in ogni canzone come ovattata, satura ma allo stesso tempo ampia, libera e claustrofobica. Le chitarre si sono fatte più secche e taglienti, quasi acide come una telecaster, ma mantengono il loro stile di suono, quell’alternarsi tra 2 corde, 2 suoni martellanti nel creare il ritmo e la base (si veda ad esempio Not Even Jail). Ciò che ne esce è un sound più graffiante e metallico, che, aiutato da una batteria secca e tagliata e da una voce non più effettata ma scarna e quindi ancor più diretta, rende il disco più fresco e, in un certo senso, anche “frizzante”. Si può dire che il loro suono si rispecchia nelle loro copertine, prima offuscato, scuro, quasi in penombra, ora più netto, delineato e preciso.Ma veniamo alle canzoni: se tentate un confronto diretto nei due album nessuna canzone di Antics ha le carte giuste per gareggiare, ma, all’interno dell’album, ogni pezzo sa ritagliarsi il suo spazio avendo una personalità ben forte: l’apertura di Next Exit è come il lento spalancarsi di una porta per fare entrare la luce in un immensa stanza vuota, guidato da hammond con un suono vintage a dir poco stupendo;Evil è il pezzo che più si avvicina a Turn On… assieme a Not Even Jail; Take You On A Cruise è una a canzone pop accartocciata su sé stessa, con il ritornello che fa capolino dopo un’infinità (2 minuti) per poi non fare più ritorno.
Spiccano in particolare 2 pezzi: Slow Hands e Leght of love. La prima ha un fascino un po’ perverso, ascoltando l’album si capisce subito che era destinata a essere il singolo o, meglio ancora, era nata per fare il singolo, o precisando ancor più biecamente, c’è perché serviva necessariamente un singolo, ma la sua aria cupa e malinconica velata, degli Smiths darkettoni, La seconda è forse uno dei momenti migliori dell’album in quanto è il perfetto punto d’incontro tra i vecchi interpol e i nuovi interpol , l’equilibrio tra l’anima dark del 2000 e il suono new wave dei tardi anni 80. Una canzone che si può dire essere un traguardo ma anche una nuova partenze per il prossimo lavoro.
Un album che deve essere assimilato, ma che poi entra in circolo e si impossessa del corpo: ascolto dopo ascolto Antics cresce e conquista con la sua semplicità, con un perfetto uso del sound cupo degli anni 80 già operato dagli The Stills e (in maniera peggiore) The Open, con canzoni che palpitano lentamente cariche di emozioni elettriche e di quella rassegnazione da eroi romantici che hanno sempre, nel profondo, un filo di speranza.

Certo, ammetto che io li preferivo con i suoni precedenti, ma mi pare ancor troppo presto per dire “Erano meglio i primi Interpol”