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“Vietato Morire” possiede la magia inafferrabile dei dischi sognati a lungo, la malinconia delle stagioni riflessive, la profondità d’animo di un artista tra i più sensibili del panorama italiano. Dopo aver conquistato pubblico e critica musicando i versi di Ungaretti in “Il porto sepolto” Andrea Chimenti si getta anima e corpo nella realizzazione di questo “Vietato Morire”, che si candida ad essere l’opera magna del Chimenti cantautore. Il pop di Chimenti è caratterizzato da un’eleganza limpida, in cui emerge una visione colta della comunicazione musicale, rispecchiata anche negli incantevoli motivi lirici. L’opera si sorregge su ballate notturne ed autunnali, in cui si fa spazio un certo gusto noir ben evidenziato da un pianoforte languido, da archi realmente toccanti, e da una voce, quella di Chimenti, appoggiata su caldi e profondi sussurri, come nella bellissima “La cattiva amante”, brano inaugurale del disco. In altri momenti la carica evocativa si fa talmente potente da lasciare segni indelebili nella memoria, sebbene il gusto raffinato si regga spesso su una semplicità tecnico-formale a tratti sorprendente negli stupefacenti risultati, costituita da suoni di una chitarra sognante, da pulsazioni di un basso gentile, ricami che arrivano da lontano fino a toccarci nel profondo. E’ il caso straordinario delle immediatamente successive “Oceano”, dove trova spazio il duetto con una toccante Patrizia Laquidara, e “Prima della cenere”, episodi in cui è difficile non scorgere la classe dell’artista più raffinato, quadri di un animo complesso, in cui confluiscono contemporaneamente gentilezza ed inquietitudine, passione e distacco. La fusione di sentimenti contrastanti trova spazio tra liriche ispirate e fraseggi leggiadri che sembrano accarezzarci il cuore, appoggiati talvolta sulla profonda batteria dell’ospite Steve Jansen, presente sulla già citata “Oceano” e sulla conclusiva “Se tornassi alla fonte”. La presenza del grande Steve Jansen suggerisce il paragone tra l’arte di Chimenti ed un altro maestro di eleganza, il fratello David Sylvian, col quale Chimenti ha collaborato anni fa. Sono molti i temi e gli stili che accomunano i due, non ultime una ricerca sconfinata del sublime, un’ oculata rincorsa verso una musica sobria ma sofisticata, un’indagine approfondita nei sentieri più nascosti delle emozioni. Il Chimenti, che riprende a tratti anche lo stile vocale di Sylvian, pare avere comunque un’ identità stilistica sufficientemente personale che allontanano eventuali sospetti di eccessiva stima nei confronti dell’ex leader dei Japan. Tornando al disco, non posso fare a meno di segnalare almeno un altro grande momento di indiscussa dolcezza in “Tra la terra e il cielo”, episodio di straordinario romanticismo mai banale, sorretto musicalmente da un eccezionale gusto ornamentale. Concludendo, siamo di fronte ad uno degli episodi più intensi degli ultimi anni, un capolavoro di avvenenza musicale che contribuisce a tenere alta la bandiera del rock italiano, ovviamente non quello figlio di imbarazzanti equivoci pop da supermercato o quello post Litfiba, casomai quello dai tratti più fini, figlio prediletto del miglior Franco Battiato moderno; un rock italiano che sta vivendo un momento assai positivo, già rafforzato nella reputazione, recentemente, da un altro disco notevole, ovvero “Piccoli fragilissimi film” di Paolo Benvegnù.
Fatelo vostro a scatola chiusa.