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Dopo Scarlet’s walk, amato dal sottoscritto ma non propriamente un episodio riuscito secondo molta critica, torna la bella Tori Amos con un nuovo album. The “Beekeeper” riprende stilisticamente il discorso dove “Scarlet’s Walk” lo aveva interrotto, proponendo dunque 19 nuove canzoni per quasi 80 minuti di musica incentrata sulla bella voce della Amos, il suo malinconico pianoforte e l’organo, sorretti da cadenzati interventi di percussione. Proprio il dialogo artistico tra il pianoforte Bosedorfer e l’organo B3 va a costituire uno dei motivi centrali dell’album, e impreziosiscono le sofisticate melodie di Tori, sempre più forte di uno stile avviato verso un marchio di fabbrica realmente riconoscibile. Le atmosfere delicate sono le protagoniste di questo disco, alternate a momenti di maggiore energia a tratti latina (“Sweet the sting”), a tratti persino gospel (“Witness”), mentre canzoni come l’opener “Parasol”, “Jamaica Inn”, la title track dai piacevoli tratti elettronici o la più easy “Sleeping with butterflies” sono, senza dubbio alcuno, episodi dal grande lirismo musicale, in cui Tori Amos mostra tutta la sua abilità con melodie davvero toccanti e lidi sonori al limite del sogno. Fermo restando che ascoltare Tori Amos è (quasi) sempre un toccasana per le orecchie di chiunque, dobbiamo fare i conti con troppi episodi che odorano di riempitivo, che alla lunga rendono l’ascolto dell’album qualcosa di realmente impegnativo, vuoi anche per l’eccessiva durata dello stesso. Scendendo nel particolare, annotiamo tra le cose peggiori mai fatte da Tori Amos la monotona “The power of the orange knickers”, per altro uno degli episodi di maggior richiamo dell’album a causa dell’altisonante duetto con Damien Rice, il quale sfoggia una prova tra le più anonime e monocordi che io ricordi, mentre altri brani come “Original Sinsuality”, “Ribbons undone”, “Mother Revolution”, stazionano presso un fastidioso senso di manierismo e dejà vu che mai vorremmo accostare ad una artista del calibro di Tori Amos. Dunque l’alternanza di brani realmente ottimi ad altri onestamente trascurabili costituiscono a conti fatti i tratti essenziali di “The Beekeeper”, che non ci sentiamo di stroncare in toto, ma onestamente se fosse stato risparmiato di 7-8 canzoni davvero poco ispirate sarebbe stato meritevole di ben altra considerazione. Peccato.