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Questo inizio giugno si sta rivelando ormai un’estate piena, fa un caldo allucinante, l’acqua del mare è già della giusta temperatura e in spiaggia si sta veramente benissimo. Ciò non toglie che questi primi soli sono parecchio stancanti, ancora abituati come siamo ai ritmi invernali/primaverili. Dove voglio arrivare? Il nuovo cd dell’ex leader dei Pavement, Stephen Malkmus è veramente perfetto per quell’ora preserale, poco prima di cenare, quando ti cacci sotto la doccia per levarti il sale da dosso, scaldato dalla giornata passata al sole. Il musicista americano decide di correre da solo, scompaiono quei Jicks che fino ad ora lo avevano accompagnato nella carriera solista, come una presa di posizione e una dichiarazione di maturità artistica, i cambiamenti nella vita privata di Malkmus influenzano tutto il suo nuovo lavoro. Il cd si apre con lo strambo indie di “Pencil rot”, che ricorda molto il Beck più elettronico e campionatore, con i coretti che accompagnano il brano, mentre Malkmus sornione come al solito fa subito capire che nonostante le scelte artistiche degli ultimi anni resta il giocherellone che è sempre stato, fin dai tempi della perfezione melodica dei Pavement, capacità negli arrangiamenti e nella stesura delle linee vocali ancora ben presente in lui e facilmente rintracciabile in tutto questo suo ultimo lavoro. Basta ascoltare la seconda traccia del cd, “it kills”, brano semplice e diretto, appunto melodicamente perfetto, cantata con quei toni sbagliati ma impeccabili come solo Malkmus sa fare. Piacevolissima la trascinante “I’ve Hardly Been”, non mi piace tantissimo la scelta del ritornello ma è comunque un buon pezzo. “Freeze the saints” il brano che più mi ha colpito dell’album, dimostra le capacità di questo grande autore e giocoliere musicale, la sua favolosa capacità evocativa e creativa. Un brano dolce e accattivante, ben suonato e ben costruito. Dopo questi ottimi punti si sente un momento di stanca con “Loud Cloud Crowd”, brano non brutto ma molto anonimo, un po’ freddo; deludente anche la successiva “No More Shoes”, troppo simile agli ultimi lavori dei Sonic youth, eccessivamente simile. Va bene ispirarsi, ma i suoni sono praticamente identici, e se c’è una cosa che non sopporto è trovare canzoni così nei dischi degli artisti che mi piacciono, ossia quei brani che hanno le sonorità di altri musicisti. Questo brano dura 8 minuti e devo ammettere che nonostante non sia male non son mai riuscito ad ascoltarlo per intero. Per fortuna dopo queste due discese il nuovo lavoro di Malkmus rialza la testa con due brani strambi e particolari, quei picchi stilistici a cui l’ex Pavement ci ha abituato. Dopo il brano ascoltabile ma non meraviglioso “Post-Paint Boy”, il disco si conclude con l’evitabile sguagliatezza di “Baby C’mon” e la bellissima e ipnotica “Malediction”. Un buon lavoro, ma se devo guardarlo complessivamente non entusiasmante, dopo gli impareggiabili dischi con la vecchia band e l’ottimo esordio da solista ci si potrebbe aspettare un po’ di più da Malkmus. Con questo non voglio dire che questo album sia brutto, anzi è molto gradevole anche se ha alcuni punti non memorabili, ed è anche stato pubblicato in un periodo ottimo per ascoltarlo, ma lascia un po’ di amaro in bocca, come se si venisse presi in giro, questo perchè il prodotto è buono, ma ascoltandolo si ha la sensazione che sarebbe potuto essere assai migliore.