The KVB @ Teatro Quirinetta (Roma) – 15 marzo 2016

Nella serata che ha ospitato l’esibizione dei The KVB, il Quirinetta Caffè-Concerto, al netto della validità artistica del gruppo, si è confermato un luogo di grande tendenza all’interno della capitale. E questo non può che farci piacere, visto e considerato che una proposta simile, calata all’interno della Roma storica, turistica, e parlamentare, ha ben pochi eguali. O meglio, non ne ha affatto.

Il live del duo inglese è stato preceduto dal set, durato più o meno mezz’ora, dell’artista italiana Key Clef. La ragazza non si è presentata al pubblico, ed è andata avanti per tutta la durata del suo live aprendo e chiudendo filtri dalla sua mastodontica postazione synth, tanto che in molti l’hanno scambiata per una degli addetti al palco, e quando la performance è terminata quasi nessuno si era reso conto che fosse una performance. La ragazza si è poi sbracciata per far capire alla folla che aveva terminato, esigendo dunque il dovuto applauso, che dopo un attimo di sorpresa, anche se a singhiozzi, è arrivato. Quasi impercettibile a dire il vero. Insomma, c’è stato non poco imbarazzo.

La musica è cambiata quando a salire sul palco è stata l’attrazione principale. Stiamo parlando di Nicholas Wood e Kat Day, ovvero The KVB. Lui alla chitarra elettrica riverberata, lei alle sequenze e ai sintetizzatori. Sono giovani, magri, bellini. E come da norma, piuttosto freddi. Tuttavia, la risposta del pubblico, accorso numeroso, davvero oltre ogni aspettativa, è stata coinvolta e calorosa. Di certo la cornice suggestiva del Quirinetta ha giovato alla resa estetica del duo. Alle loro spalle, mentre suonavano, scorrevano immagini che sembravano prese da una presentazione video di un progetto d’architettura: colonnati, scheletri di palazzi in costruzione. E nel frattempo la coppia pescava dal proprio repertorio, già piuttosto nutrito malgrado la giovane età, gli stendardi da piantare sul suolo romano. La gente era in visibilio. Solo in pochi se ne stavano in disparte, un po’ annoiati, quasi fossero capitati lì per caso. Tutti gli altri hanno dondolato la testa e il bacino per l’intera durata del concerto.

Fra i presenti, oltre all’immancabile Betani Mapunzo, sodale dei The Pills, vero e proprio prezzemolino della scena live capitolina, c’era anche la Daje Division, ovvero l’altrettanto immancabile schiera de’ ragazzi de’ Roma che al termine di ogni brano, con un entusiasmo fuori misura per non dire immotivato, ha gridato appunto “Daje”! Dalla prima all’ultima canzone. E ogni volta che Nicholas pestava sul pedale del fuzz, all’arrivo dei ritornelli, una scossa sembrava attraversare da parte a parte chiunque si trovasse in platea. Chi più chi meno.

Belli loro, comunque. Ci riferiamo a Nicholas e Kat. E interessante la loro alchimia sul palco. Da lei non è trapelata alcuna emozione. Controllava che tutto procedesse liscio dal tabellone di controllo, accennando qualche saltello sul posto, con le sue gambe nude e bianchissime, così bianche che sembravano fare luce nel buio. E Nick invece alternava stati di apatia a momenti in cui pareva posseduto dalla musa elettrica della Dark-Wave, lasciandosi andare a una sorta di danza invasata. Come un burattino nelle mani della sua chitarra.

L’unico limite di questo repertorio, che non è un limite da poco, è quello di essere fin troppo derivativo, e di non aggiungere granché a quello che abbiamo già sentito da parte di gruppi come Black Rebel Motorcycle Club o Jesus & Mary Chain. C’è più elettronica in questo caso, certo. Ma a latitare, malgrado l’ottima resa dei ragazzi sul palco, è una scrittura di base che renda le canzoni avvincenti, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto vocale. Trasandato, monocorde, scazzato. Perfetto, fa parte dello stile. Ma lo stile purtroppo non è supportato da melodie interessanti. E il minimalismo (vocale) non può essere una scusa. Ad ogni modo, è solo un’opinione personale. Come già è stato scritto, il pubblico ha apprezzato, ed anche molto, la performance dei ragazzi, e sembrava anche apprezzare molto il loro repertorio. I brani dell’ultimo album “Of Desire”, ad esempio, hanno ricevuto un’ottima accoglienza. In particolare “Night Games” e “Never Enough”, di certo fra i migliori. Anche se, a dirla tutta, distinguere un brano dall’altro è stata un’impresa per certi versi titanica.

Però i ragazzi son piaciuti. Eccome se son piaciuti. Alla fine, quando hanno concluso la prima parte del set, alcune persone si sono avvicinate al fonico, chiedendo se il concerto fosse davvero giunto al capolinea. E il fonico gli ha fatto il segno della pace con le dita. E quelle dita significavano “faranno altre due canzoni”. Allora i tizi hanno ringraziato il fonico e se ne sono andati tutti contenti. Urrà!

Foto: Romina Zago
Testo: Marco Tucciarone

About Romina Zago

Romina Zago, classe 1981, toscana. La sua passione per la fotografia non ha età, essendo nata e cresciuta in mezzo a macchine fotografiche di ogni tipo grazie al padre che le ha trasmesso la passione di guardare il mondo da un obiettivo. Appassionata di fotografia live e ritratti, per lei la fotografia è una necessità.