Blur – Think Tank

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Quattro lunghi anni sono passati da quel discusso “13”, album controverso e che personalmente mi aveva lasciato con molto amaro in bocca. L’attesa per il nuovo album è stata più sopportabile solo grazie ai progetti paralleli di Graham Coxon e Damon Albarn, lasciando presagire alcuni cambi di sonorità in casa Blur.Ma questo, si sa, è una componente ormai ricorrente nelle abitudini del gruppo di Colchester, che mai si è fossilizzata in una ricetta standard pop, optando, al contrario, per un rinnovamento che li ha sempre positivamente contraddistinti da quel famigerato fenomeno da baraccone che risponde al nome Oasis. I lavori per questo “Think Tank” non cominciano sotto i migliori auspici. Su esplicite pressioni di Albarn viene reclutato in sede di produzione Fatboy Slim, faccenda che non viene affatto digerita dal buon Coxon che senza troppi complimenti lascia la band, condannando inesorabilemente le sorti di questo lavoro. L’ambizione di Albarn sarebbe quella di pubblicare il miglior album dei Blur, puntando tutto sulla contaminazione e l’incrocio tra generi distanti anni luce tra loro.Ma per tutta la durata del cd si respira un’aria di progetto incompiuto, di canzoni che promettono qualcosa nelle idee embrionali ma che purtroppo non verrà mai mantenuto. “Ambulance” apre bene il disco col suo gospel farcito da indovinati interventi sintetico-elettronici, un’alba promettente che non risplenderà ancora per molto. Il singolo “Out of time” è una ballata senza infamia e senza lode, di certo una canzone che non passerà alla storia. Questo è il primo, forte segnale negativo che si avverte, soprattutto se si considera che i Blur sono stati una vincente macchina sforna-singoli per tutta la loro decorosa carriera. Ci sono anche tentativi di ripescare sonorità passate che hanno reso celebre il gruppo, come ad esempio nel duro rock punk di “Crazy beat”, dove sono chiari i rimandi ai giovanili fasti di “Modern life is rubbish”, ma questo rimane un tentativo che si infrange contro un muro di stanchezza. Il disco scivola via tra una buona ballata,” Good song”, ed altri episodi electro rock, che vedono i Blur impegnati a voler sorprendere con la loro attitudine avanguardistica, scelta avventurosa che mette infatti in crisi l’omogeneità e la riuscita finale dei singoli brani.Qualche buon episodio affiora sul finale del disco: la pulsante “Jets” dai vaghi sapori new wave e la traccia nascosta “My white noise”, forse l’episodio migliore, tra inquietanti atmosfere dark, improvvise accelerazioni elettriche impreziosite da indovinatissimi feedback distorti di una chitarra malata come la bella e sofferente voce di Daman Albarn, che in questo episodio sfoggia la prova più convincente del disco.Forse è proprio questa traccia nascosta a lasciare il dubbio di cosa avrebbe potuto essere questo “Think Tank” se solo si fosse data maggiore attenzione verso una distribuzione più oculata delle varie idee presenti. E mentre sono afflitto da tale dubbio, ripremo play sul lettore, alla disperata ricerca di ulteriori lati positivi che probabilmente non troverò.