Marilyn Manson – The Golden Age of Grotesque

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Seguo Marilyn Manson fin dai tempi di “Antichrist Superstar” e ho avuto modo di ascoltare tutti i suoi lavori, ma ciò che si presenta alle mie orecchie mi lascia negativamente basito. Mi sento di affermare che “The Golden Age of Grotesque” è quanto di peggio il Reverendo abbia mai offerto al pubblico.
La produzione è ottima, come sempre, le gravi lacune di questo lavoro stanno nel songwriting, a dir poco infantile, basta sentire titoli come “Doll-Dagga Buzz-Buzz Ziggety-Zag”, “Ka-boom ka-boom”, “Vodevil” e praticamente tutti gli altri, con speciale menzione per “MObscene”, il single più scialbo e insignificante che Manson abbia avuto il coraggio di pubblicare assieme alla pacchiana cover “Tainted Love”, ma ovviamente i problemi non stanno solo qui.
Stavolta anche il sound fa acqua da tutte le parti. Il nuovo guru-tuttofare di quest’album è tale Tim Skold ex KFMDM, gruppo franco-tedesco che francamente non conosco, ma che ha il demerito di portare nel gruppo americano quel sound gothic-industrial terribilmente kitsch presente in diversi gruppettini di serie Z di area tedesca, patetici emuli dei Rammstein. Non so quanto abbia effettivamente ripreso da questi KFMDM – stando a quanto ho letto altrove direi “parecchio” – però la sensazione di deja-vù è forte, d’altronde si tratta di un tipo di sound fin troppo sfruttato a mio avviso.
Francamente mi è difficile trovare un pezzo che si salvi e non posso fare a meno di constatare come lo stesso Manson abbia perso gran parte della sua verve e della sua aggressività… sì è un Manson decisamente più edulcorato quello che ci troviamo davanti, un finto trasgressivo che recita la sua parte entro limiti ben precisi, addirittura meno istrionico. Personalmente sono dell’opinione che, dopo il clamoroso successo di “Antichrist Superstar”, il nostro eroe abbia deciso di correggere un po’ il tiro in fatto di sound e immagine, per puntare su un pubblico molto più mainstream, puntando soprattutto sul suo “carisma da rockstar”; non mi spiego altrimenti l’assenza di immagini-shock e al limite del buon gusto da “Mechanical Animals” in poi.
L’assenza del nume tutelare Trent Reznor e di Chris Vrenna non si era mai sentita tanto, ma probabilmente Manson e soci si stanno adattando alle esigenze di un pubblico di ragazzini “goth” pieni di ogni stereotipo del caso, dando alle stampe un album qualitativamente al livello di gruppi come Linkin Park e Papa Roach, che potrà rendere al meglio solo in qualche locale che proponga musica pseudo-dark o pseudo-metal.
Tornando all’album, stavolta non posso proprio salvare nulla, le uniche sensazioni procuratemi dal suo ascolto sono una pura e semplice noia con uno spasmo di gioia, una volta giunto alla fine. In definitiva, il peggior album di un Marilyn Manson. Resto solo in dubbio se pensare che si tratti di mancanza d’ispirazione o semplicemente camaleontico adattarsi alle esigenze di un pubblico di teen-ager senza troppe pretese. Di sicuro, le classifiche di vendita gli stanno dando ragione, ma per fortuna non è questo il nostro metro di giudizio.