Faith and the Muse – The Burning Season

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Quattro anni. Tanto tempo è già passato dall’ultimo album in studio dei Faith and the Muse, eccezion fatta per la raccolta “Vera Causa”, ma al duo americano non si possono che fare i complimenti per ciò che son riusciti a regalarci dopo questa lunga attesa.
È grazie a gente come William Faith e Monica Richards che il gothic riesce a salvarsi dalle accuse di cliché e stereotipi, sia a livello di musica che d’immagine e questo “The Burning Season” tanto agognato dal loro pubblico è un’autentica ventata di ossigeno per chi vuole sentire qualcosa di diverso. L’inizio a dire il vero è un po’ stucchevole: difficilmente un fan di vecchia data si sarebbe aspettato un impatto così hard con l’intro “Bait and switch” e il primo vero pezzo “Sredni Vashtar”, in cui la chitarra raggiunge sonorità metal impensabili per questo gruppo e le female vocals aspre come non mai. Un pezzo che farà la felicità delle gothic charts, c’è da giurarlo.
Ci pensa “Boudiccea” a riconfortare i cuori di chi è rimasto turbato da quest’inizio inusitato: un’intro di chitarra acustica e la voce della divina Monica che maliarda ci invita ad abbandonarci totalmente a questo pezzo sognante, caratterizzato da melodie orchestrate alla perfezione come da classico stile di questo gruppo.
La title track “The Burning Season” sconvolge nuovamente: campionamenti e synths ambient creano un’atmosfera notturna e pomposa, quasi cinematografica. Un esperimento inusuale per i nostri, che però dimostrano di trovarsi ampiamente a proprio agio in una traccia che diventerà sicuramente un loro nuovo classico e che probabilmente si presterà a qualche remix da gothic club; ancora una volta ottima la voce di Monica, capace di inquietare, sedurre e gettare nel baratro l’ascoltatore.
“Whispered in your ear” si apre con un’ottimo arpeggio di sapore celtico che si risolve in una danza elettronica ammaliante dal forte sapore EBM, mentre in “Gone to ground”, con tanto di sassofono e pianoforte in sottofondo, è una ballata nera che sembra trarre ispirazione dal miglior Nick Cave, lasciando a miss Richards un inaspettato ruolo da intrigante femme fatale. Non convince del tutto “Relic song”, un pezzo che stando alle dichiarazioni dei due trae ispirazione dal loro passato “nu-punk” mentre personalmente mi ha ricordato vagamente lo stoner più recente di Queens of the Stone Age o Monster Magnet (!); una canzone efficace per quanto riguarda la chitarra ma totalmente inadeguato alla voce di Monica, mentre quella di William sarebbe stata decisamente una scelta migliore. Ma la nostra sirena si trova decisamente più a suo agio nella celestiale e onirica “In the Amber Room”, le cui orchestrazioni sono a dir poco perfette, una canzone d’amore dolcissima e incantevole.
Canta William in “Failure to thrive”, un altro pezzo nero grazie ai synths quasi industrial combinati a melodie che grazie ad essi assumono una tinta decisamente sinistra, mentre “Visions” unisce ancora atmosfere celtiche con suoni EBM, risultando forse il pezzo più immediato – ma non per questo banale, attenzione – dell’intero album. Il punk torna, dopo tanto di “vetro rotto” in “Prodigal”, stavolta in maniera più efficace, con le ottime chitarre che agiscono in gradevole contrasto a voce e synths, assolutamente soft.
L’ultima “Willow’s Song” è una cover dalla colonna sonora di un film intitolato “The Wicker Man”, un pezzo quasi totalmente acustico e suggestivo in tutti i suoi elementi, dalla chitarra di William ai sonagli di Monica, capace di regalarci un atmosfera edenica che però viene interrotta in maniera dissonante alla fine, come se la nostra cassetta fosse andata kaputt.
Credo che questo “The Burning Season” metterà in dubbio i fan del gruppo: da un lato chi lo apprezzerà per la varietà di musiche ed atmosfere, poiché la nostra coppia pesca qua e là dalle varie forme moderne di gothic e le rielabora in maniera personale ed efficacissima; ma dall’altro lato ci sarà chi potrebbe, con buone argomentazioni, accusare i due di aver dato vita a un album non omogeneo, con troppi “salti” di sonorità che a tratti lasciano perplessi.
Personalmente, ritengo questa quarta fatica di William e Monica il loro ennesimo, ottimo album, contenente diversi pezzi indimenticabili e capace comunque di soddisfare le aspettative di entrambi, e non posso fare altro se non consigliarlo a tutti gli amanti del gothic americano ma anche a chi cercasse qualcosa di magnificamente melodico e vario: non lasciatevelo scappare!