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Quattro anni dopo il discusso “The Dark side of the Spoon” tornano a calcare le scene quelli che sono all’unimità considerati i padrini del metal industriale, gli americani Ministry. Al Jourgensen e soci con questo “Animositisomina” sembrano volersi riappropriare della perduta corona ora in mano a N.I.N. e Rammstein, resta solo da vedere se riusciranno a emulare i risultati del mastodontico “Psalm 69”.
Possiamo dire fin da adesso che si tratta di un album davvero ben realizzato: l’opener “Animosity” spazza via tutto e tutti con riff poderosi e suoni a dir poco perfetti (anche se certe soluzioni ricordano un po’ troppo i grandiosi Mastodon), sia a livello chitarristico che per quanto riguarda vocals effettate e campionamenti, una sinfonia stridente che travolge l’ascoltatore come potrebbe fare un bulldozer. E l’intenzione resterà questa per tutto l’album: fare terra bruciata, sconvolgere le orecchie dell’incauto ascoltatore che abbia il coraggio di addentrarsi in quest’album: il problema è che, nonostante le buone intenzioni, a volte la resa non sia al livello delle aspettative, e già ce ne rendiamo conto nella seconda traccia, intitolata “Unsung”, che altro non fa se non ibridare soluzioni già viste sia nei Ministry che nei loro colleghi europei con stilemi “à la Devin Townsend”, vedi le backing vocals che sembrano plagiate dal capolavoro “City”.
“Piss” al contrario è un pezzo che suona al 100% Ministry, ma ancora una volta ci troviamo di fronte a una canzone solo discreta, che spicca sì per la qualità dei suoni – vero punto di forza dell’album – ma pecca pesantemente per prolissità e monotonia, i suoi 5:10 sembrano non passare mai. E lo stesso discorso vale anche per “Lockbox”, non si riesce francamente a capire se in queste due canzoni il gruppo di Chicago voglia graffiare o puntare su improbabilissime melodie.
In “Broken” sembra quasi che ci sia Dimebag Darrell alle chitarre, un pezzo musicalmente accostabile al thrash dei Pantera o dei primi Machine Head, ma la scelta delle vocals pulite (che qua ricordano molto il singer dei Voivod, Snake) ed effettate compromette in maniera drastica una canzone che altrimenti sarebbe riuscitissima.
Su “The light pours out of me” sinceramente non me la sento di pronunciarmi neppure, anzi mi domando dove volessero andare a parare con questo scialbissimo e inutile pezzo. La cupa “Shove” sembra tirare un po’ su le sorti dell’album e la conferma si ha con la fantascientifica “Impossible”, un pezzo che sembra ispirato da quel capolavoro di fine eighties chiamato “Dimension Hatröss”.
Ma la pacchia è purtroppo già finita, perché ci ritroviamo con una inefficacissima “Stolen” degna del peggior Marilyn Manson degli ultimi tempi.
E non bastano purtroppo i nove minuti di quell’angosciante – anche se a tratti monotono – incubo industriale intitolato “Leper” a risollevare le sorti di un album in cui alla fine solo quattro pezzi risultano convincenti. Volendo trarre un bilancio, possiamo dire a ragione che i Ministry sono tornati con delle potenzialità enormi – suoni così perfetti e migliori dei Rammstein ben pochi possono vantarli in quest’ambito – ma il risultato è davvero insufficiente sotto questa luce, vuoi per lo spreco di potenziale e vuoi per il fatto che la band non sembra avere le idee affatto chiare né una propria personalità, vista l’enorme quantità di pezzi che traggono ispirazione da capolavori altrui.
Un ritorno davvero malriuscito che non lascia auspicare nulla di buono neppure per il prossimo album, in arrivo per il 2004. “Animositisomina” è un album che potenzialmente potrebbe anche piacere a qualche neofita del genere, ma che dopo qualche ascolto è assai probabile verrà dimenticato per l’insostenibile senso di noia che ne deriva.