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Prendete un batterista, aggiungete un percussionista, modellate bene la ritmica, aggiungete un pizzico di tradizioni orientali con tanto di strumenti originari della cultura nipponica, un pò di romanticismo e sacralità e alla fine un pò di minimalismo, in modo da rendere i suoni abbastanza bilanciati tra loro.
Queste più o meno sono le coordinate del nuovo lavoro dei The Creatures (corredato anche da un dvd “dietro le quinte”, nel quale si possono vedere le sessioni di registrazione dei musicisti), in collaborazione col percussionista giapponese Leonard Eto, che ruota -almeno nella prima parte- intorno alle suggestioni ritmiche dei taiko (percussioni) architettando un palazzo di melodie rievocanti la cultura orientale e, immancabilmente, richiami della wave anni ’80: Siouxie incontra i demoni giapponesi.
Abbiamo accennato ad una prima parte perchè effettivamente il disco si divide in due: una più sperimentale e una seconda che dà più spazio alle atmosfere. Eppure la prima, seppur interessante, parte (che in mancanza di pause tra una canzone e l’altra, sembrerebbe un piccolo concept all’interno al disco) a lungo andare diventa stancante: la ripetitività delle stesse linee melodiche non giovano al disco, come il minimalismo portato avanti da Siouxie dà l’impressione di essere “forzato”; la voce non convince affatto e le basi ritmiche, per quanto ricercate possano essere (su questo non si può discutere, in effetti) non trovano supporto in null’altro facendo rimanere il disco statico. Fortunatamente il lavoro riprende quota con la seconda parte, nella quale la voce diventa evocativa e si fonde perfettamente negli arrangiamenti, lasciando da parte l’irruenza dei taiko e immergendosi nelle atmosfere rarefatte di synth e gong (“City Island” che richieggia di Japan di Sylvian e soci), in contrappunti di piano dal sapore Wyattiano (“Tourniquet”), in riverberi di new wave (“Godizlla”), in atmosfere banshees (“Imagoro”) e a quelle iniziali, ma riprese con molta più convinzione e meno intenti pretenziosi. (“Tantara!”)
Sicuramente se si fosse lasciato meno spazio alla sperimentazione a tutti i costi e si fosse seguito fin dall’inizio il connubio creato dopo i primi quattro brani, il disco sarebbe stato un bellissimo lavoro. Invece così rimane solo che buono. E il giudizio si divide in due, come il disco. Stancante all’inizio, ottimo alla fine. Globalmente un buon cd, per il quale vale la pena resistere fino alla fine.