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…e alla fine gli esteti tornarono.
Attendevo con avida brama il nuovo lavoro degli Ataraxia ed infine il momento di “Saphir” è finalmente giunto, ansioso di vedere come i tre chierici erranti sarebbero riusciti a stupirmi questa volta. Se con il mini “Des paroles blanches” i nostri presero ispirazione dalle scogliere normanne, la fonte ispiratrice per il loro ultimo album sono stati i giardini, di ogni luogo e ogni tempo. Molti di essi dopotutto sono dei luoghi artistici a tutti gli effetti, forse al giorno d’oggi un pò sottovalutati, in cui la bellezza della natura viene delicatamente plasmata dall’ingegno dell’uomo in modalità ogni volta differenti e spettacolari: una tradizione assai ricca che perdura da secoli e a cui i nostri non sono certo insensibili, tanto che spesso amano esibirsi in giardini storici. Ora è infine giunto il momento di omaggiare questi luoghi anche su disco, con un artwork concepito con gusto e pieno di raffinate fotografie e soprattutto la musica.
Le musiche di “Saphir” sono imperniate sulla bravura dei quattro strumentisti. A dominare con gentilezza la scena è la poliedrica voce di Francesca Nicoli, sempre magnificamente espressiva – molto suggestivi in particolare i punti in cui “dialoga” con se stessa interpretando anche i cori – e ispirata nella stesure delle liriche. Le musiche ovviamente non potevano essere da meno: in esse gli Ataraxia radunano elementi provenienti dalle più importanti tradizioni musicale europee – e non solo: davvero stupende le chitarre acustiche, elettriche e flamenco di Vittorio Vandelli, mentre Giovanni Pagliari compie anch’egli un lavoro egregio dietro le tastiere. Encomiabile è anche il lavoro di Riccardo Spaggiari, quarto membro aggiunto al collaudato trio, autore di un finissimo lavoro dietro alle percussioni, in cui riunisce con cura ritmi classici ad altri orientaleggianti: un tocco di classe notevole che aggiunge ulteriore pregio all’album; non ho ancora capito se Riccardo sia presente come sessionist o in pianta stabile, ma mi auguro di poterlo sentire ancora nel prossimo album del nostro ensemble.
Non cercherò di descrivere in dettaglio quello che potrete trovare in “Saphir”, definire la musica degli Ataraxia è tanto difficile quanto ingiusto: in questi anni di onorata carriera Francesca, Vittorio e Giovanni hanno “semplicemente” scelto di fare della bella musica, assecondando la propria passione per sonorità che generalmente si considerano – e liquidano, purtroppo – come “arcaiche”, proseguendo lungo questa non facile strada ottenendo sempre più consensi in Italia e all’estero.
Dark (perché poi?), romantici, folkloristici, classici, barocchi, medioevali… quanti aggettivi sono stati spesi a vanvera, cercando di racchiudere nel limitante cerchio delle definizioni un gruppo di artisti ai quali di queste proprio non importa nulla? Troppi, semplicemente, da parte nostra preferiamo lasciare che sia la musica a parlare, solo allora ci si renderà conto dell’inutilità di questi discorsi.
Indubbiamente non sono facili da ascoltare, tanto per la ricchezza del loro canto e delle loro musiche, quanto per quei testi spesso difficili da comprendere, sia che si tratti del latino che di qualche lingua moderna che non conosciamo, dei testi che ci capita di scoprire essere delle belle poesie di Saffo (come “Jardin de lune” o “De pourpre oet d’argent”) della stessa Nicoli, per non parlare dei riadattamenti dei Carmina Burana dei vecchi album “Historiae” e “Mon seul desìr”. Musica ricercata e raffinata quindi, che i nostri hanno mostrato poter essere ancora attuale e godibile per chi vuole cimentarsi col loro ascolto.
Semplicemente, possiamo solo concludere che questi dieci pezzi sono la miglior dimostrazione possibile che la Bellezza della musica non ha spazio né tempo, e ha ancora molto da darci, basta solo essere un pò aperti ed aver voglia di impegnarsi per apprezzare ancor di più questo “Saphir”, che entusiasmerà chi già ama gli Ataraxia e si pone come uno dei migliori album, da prendere in considerazione per chi fosse incuriosito.