Everyothers, The – The Everyothers

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Della serie “se ci riescono tutti posso farcela anche io” ecco gli everyothers, nuova band di NYC. E già il nome dice tutto “qualunque altro”.

La formula è sempre quella, di qualunque altro gruppo che prova a sfondare ora: chitarre con quella distorsione vintage che sembra uscire da un vox, batteria caciarona, ritmi sostenuti e un buon abbraccio al rock del passato.
Ma mentre l’opera di restauro di White stripes, Strokes et similia va verso un rock nel senso puro del termine, gli Everyothers hanno un fascino glam che li porta ad evocare David bowie e Lou Reed.
Si guarda quindi più agli anni 70 scintillanti, ai T-rex, Ziggy Stardust e anche un po’ i Velvet underground. Ma si strizza con piacere anche l’occhi a quel brit pop di stampo glam, un po’ new romantic e un po’ decadente (Auteurs e Suede rivisti in chiave rock).
C’è quindi un non so che di tossico nelle canzoni degli Everyothers, di autodistruttivo, di bruciare tutto e subito.

Ma più che un fuoco il disco dalla metà in poi si rivela solo fumo.
Si parte in modo accattivante, Can’t get round evoca subito Lou Reed nel cantato, e le seguenti Surprise Surprise e Make Up something restano sempre in quei territori, conuna new your in sottofondo avvolta da trame di “ragni rossi da marte”.
Ma già dal 3 brano incomincia una strana mutazione nel quartetto… la band oscilla e sembra perdere il suo contatto mentale col passato, diventa insicura, titubante (forse troppo una cover band) e quindi eccola cercare un appiglio moderno.
E in men che non si dica le cose pur restando uguali… cambiano.
Il suono resta immutato, ma il portamento della canzone, lo stesso modo di porsi nel cantato evocano una band che 2 anni fa ha salutato le scene, una band che forse non sa neanche che è la scena newyorkese anni 70, una band che campava di un pop rock senza pretese, diretto e accattivante seppur scontato e troppo ammiccante: i Terrorvision.

A nulla vale il tentativo di riesumare Iggy Pop (Like a Drug, brano più valido): dalla seconda metà il disco naufraga ai confini tra la banalità (il pezzo da radio Break That Bottle) e la mancanza di ispirazione(In My shoes).

Peccato, per un quarto d’ora buono erano riusciti ad ingannare, ma dopo 15 minuti tanto vale sentirsi drettamente Shaving Peaches dei Terrorvision (che come album -aggiungo- non è affatto male, certo meglio degli Everyothers!).