Paatos – Kallocain

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Provenienti dalle stesse terre che hanno visto nascere e poi crescere le gesta di grandi gruppi come Anekdoten e Anglagard, i Paatos giungono al secondo album andando ben oltre quanto detto nel cd d’esordio. Infatti se quest’ultimo li aveva imposti come una delle nuove realtà in un ambito inflazionatissimo come il progressive rock odierno, con “Kallocain” i Paatos fanno un enorme passo in avanti spostando le coordinate verso un suono più liquido ed assai fresco ed etereo, guadagnando punti importanti in personalità e stile. A conti fatti vedremo come “Kallocain” sia molto poco figlio del progressive contemporaneo. Infatti in qualche caso sembra di assistere ad una fusione tra un rock molto onirico ed alcune suggestioni trip hop tipiche delle ultime cose di Massive Attack. Di notevole spessore il sound che è quasi possibile respirare, molto elegante, personalissimo, che pesca a piene mani anche tra certe forme di folk, a tratti leggero e suadente, catturato e rilasciato infine da un mellotron che conferisce solennità e drammaticità. “L’effetto” è quindi garantito per chi è alla ricerca di una proposta musicale di notevole atmosfera. Gli strumentisti non sono interessati alle intricate soluzioni tecniche tipiche del genere di cui sono figli, bensì mirano alla soddisfazione emotiva e all’estasi sonora. Se l’iniziale “Gasoline” sembra guidarci in territori vicini agli Anekdoten, i successivi brani ne prendono poi notevole distanza. Ed è così che autentiche gemme come “Holding on” , “Won’t be coming back”, “Happiness”, “Look at us” prendono forma tra dilatati feedback chitarristici, ritmi talvolta elettronici, interventi d’archi e la voce della bravissima Petronella Nettermalm, una sorta di Bjork alle prese con una interpretazione dolce come una carezza prima di un sonno, eterea e misteriosa come la visione di un’ aurora boreale. Il tutto strutturato su ritmi molto pacati e oserei dire rallentati. Non c’è che dire, i Paatos hanno firmato il disco che non ti aspetti, una sorpresa in mezzo a tanti emulatori di soluzioni trite e ritrite e che offre una panoramica interessante di ciò che oggi significa suonare rock colto senza ricorrere a citazioni scomode e fuori tempo massimo. Buone notizie anche dal fronte produzione: in cabina di regia c’è – manco a dirlo – un certo Steven Wilson il cui tocco sapiente consente al disco di mantenersi al passo coi tempi da un punto di vista prettamente tecnico, mentre la promozione è a cura della Inside out/ Spv, per una volta alle prese con qualcosa di diverso e di notevole spessore artistico. Sorprendenti.