American Music Club – Love Songs For Patriots

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:

Con mio grande piacere torna sulle scene uno dei gruppi più interessanti della scorsa decade, gli American Music Club, autori di un rock folk alternativo eclettico ed elegante, adagiato attorno a suggestioni “slowcore” ben espresse in almeno un capolavoro (Mercury) e in altri ottimi dischi pubblicati tra il 1990 e il 1994. Sul loro conto era poi sceso un silenzio inquietante, con conseguente constatazione di scioglimento, fino alle voci di un clamoroso ritorno sulle scene che girarono un paio di anni or sono, quando uno stranamente ottimista Mark Eitzel, voce e compositore del gruppo, alle prese con le operazioni di convincimento nei confronti del chitarrista Vudi e con una carriera solista ancora tutta da programmare, raccontò di avere in mano qualche buon brano destinato ad una possibile reunion dei suoi American Music Club. La pazienza è stata finalmente premiata e così ci troviamo tra le mani questo nuovissimo “Love Songs For Patriots”, lavoro che, visti i contenuti, allontana i sospetti che quasi sempre circondano i casi di reunion, e che ha vissuto una lunghissima e difficile gestazione ma che ci consegna una band enormemente ritrovata dal punto di vista dell’amalgama. La produzione cristallina e ben curata rende piena giustizia alle composizioni che non tradiscono le tradizioni degli American Music Club, anche se si fa vivo in più di un episodio una certa propensione al rock distorto. L’opener “Ladies and Gentlemen” mette in rilievo questa nuova attitudine del gruppo, in un rock scarno e aspro che sa di fumo e whisky, vuoi anche per la peculiare interpretazione vocale di Mark. Non mancano i soliti raffinati episodi come “Patriots Heart” (Nick Cave oggi pagherebbe oro per poter scrivere una canzone così), una canzone dalla forte carica evocativa ben sottolineata da alcuni crescendo da brividi, e le ballate acustiche tutto dolce/amaro, come la straordinaria “Song of the rats leaving the sinking ship” o l’oscura “Myopic Books”, quest’ultima forte di un arrangiamento delizioso, tra percussioni circolari e dolcissime note di piano perse nel tempo, particolari che definiscono al meglio il lato più intimista, peraltro quello più amato, degli American Music Club. Questi gli episodi di maggior rilievo, anche se non vi sono particolari cadute di tono nei rimanenti brani, che vanno a comporre uno dei dischi più attesi di questo anno estremamente positivo per il rock alternativo.
Ascoltare un disco degli American Music Club sarà controtendenza, sarà essere fuori dal mondo, ma così ci piace; sarà essere fuori dalle mode ma di questo davvero poco ci importa. Nella loro alchimia musicale si nasconde il piacere del suonare ciò che si ama, nel raccontare ciò che emoziona, all’insegna di una proposta musicale che ormai non vuol conoscere la via del tramonto. Per fortuna aggiungerei. Non ci sono concessioni al furbesco mondo della discografia, gli American Music Club sono persone delicate come è difficile incontrare oggi. Li si può scorgere in giro per qualche strada caotica di Los Angeles senza accorgersi di ciò che scorre nei loro occhi, poiché il frastuono potrebbe coprire la magia. Per quest’ultima qualcuno o qualcosa ha voluto che esistessero gli American Music Club e che soprattutto continuassero ad esistere. Bentornati!