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Il talento di Bart Padar, principale artefice delle musiche degli statunitensi Sparkwood, è uno dei più cristallini in cui mi sia capitato di imbattere negli ultimi tempi. Cristallino nella sapiente rilettura di un pop psichedelico i cui riferimenti trovano sicuro riscontro negli insegnamenti dei gloriosi Beach Boys di fine anni 60, nella particolare perizia d’arrangiamento con cui i brani di “Jalopy Pop” sembrano essere stati assemblati e nella indiscussa capacità di costruzione di certe melodie di sicuro effetto. C’è da dire che mi ritengo un assoluto privilegiato per l’aver ascoltato questo (secondo) lavoro degli Sparkwood, poiché il gruppo non è ancora distribuito in Europa, e a quanto pare attualmente nemmeno negli Stati Uniti, ma soltanto in Giappone, paese storicamente attento alle novità discografiche d’oltre Pacifico. 13 i brani, tutti ammiccanti a suggestioni del passato, con la straordinaria voce di Bart Padar che davvero sembra uscita da uno di quei dischi magici degli anni 60, un sound incredibilmente solare e brillante, sottolineato da chitarre leggermente sature, una sezione ritmica effervescente e precisa, in cui si distingue per carica dinamica la batteria di Adam Tyner, e alcuni giochetti, ricavati probabilmente da tastiere analogiche, a volte in rilievo altre maggiormente relegati sullo sfondo. Da “Miles Away” a “In your lovin’ arms”, da “Cruel World” a “Past Experience”, passando anche per brani più articolati come l’onirica “3 Words” e “Ready for the day”, ciò che si nota è una potenzialità da hit single, grazie anche a ritornelli penetranti e ben congeniati, il che non deve però far nascere il sospetto di una musica facilona e banale. Tutt’altro: piuttosto è, né più né meno, la prerogativa tipica degli artisti che hanno quel qualcosa in più per essere ricordati nel tempo. E Bart Padar ce l’ ha in pieno. Se poi, come possibile ma credo in tutta onestà sia difficile, i suoi lavori si infrangeranno contro i muri dell’ indifferenza, i motivi vanno ricercati nell’ottusità delle leggi del mercato discografico. Dunque talenti come quello di Padar vanno difesi e promossi, bisogna necessariamente parlarne, si deve cercare di far arrivare la sua musica in più posti possibili, affinchè certe potenzialità non rimangano strette nelle frustranti morse dei tentativi andati a vuoto ma si concretizzino in opere che siano a disposizione di tutti.
Li aspettiamo in Europa. Speriamo il prima possibile.