Kino – Picture

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:

Persi (probabilmente) per sempre i servigi dei Transatlantic, la Inside out ha pensato bene di commissionare un altro supergruppo prog che li sostituisse nel ruolo di maggiore attrattiva all’interno della scuderia tedesca. Ma se i Transatlantic passano alla storia più che altro per le promesse non mantenute nei loro dischi, la musica dei Kino è invece molto più interessante, equilibrata e evoluta . Cominciamo a dire che sono della partita John Mitchell (Arena), John Beck (It Bites), Pete Trewavas (Marillion ed ex Transatlantic) e Chris Maitland (ex Porcupine Tree). Una formazione di tutto rispetto dunque, che gioca tutto sull’aspetto melodico, garantito dal cantato evocativo e da chitarre intense ma misurate, il tutto ad opera del buon John Mitchell. Non è da meno la coppia Maitland/Trewavas, sezione ritmica ispirata e fantasiosa oltre che precisa, mentre le tastiere di Beck si lasciano apprezzare per l’approccio assolutamente calibrato e ragionato, non riprendono nulla dalla tendenza sfarzosa di certo neo progressive di ultima generazione, specie quella figlia di Martin Orford (Iq/Jadis) e Clive Nolan (Pendragon/Arena), che vuole le tastiere sempre in evidenza e oltremodo presenti. In altre parole, le tastiere di Beck non soffocano ma danno respiro, non sovrastano le chitarre e il cantato ma creano i giusti spazi per mettere tutto maggiormente in risalto con una intelligenza che di rado mi è capitato di riscontrare di recente. E questo è di per sé già una grande novità. Sul piano prettamente stilistico siamo di fronte ad una fusione tra certe sonorità mostrate dagli Asia dei primissimi album e alcune suggestioni più moderne, in cui registriamo, tra le altre cose, un ritrovato gusto per la cura della costruzione dei ritornelli, in molti casi davvero accattivanti, catchy e destinati a stamparsi a lungo nella vostra memoria. Dunque una proposta tutto sommato accessibile ma affatto banale, riscontrabile in brani dal grande impatto sonoro come “Losers day parade”, o dal grande senso onirico della successiva “Letting go” in cui Mitchell da testimonianza delle sue doti vocali, non tecniche bensì espressive. La palma di miglior brano del disco se la contendono a mio parere “People”, forte di una prima parte sostenuta dal grande lavoro ritmico delle chitarre di Mitchell, fino allo splendido solo centrale su una base articolatissima, in cui splende anche il drumming di Maitland, e “Holding on” leggermente più complessa e ricercata, in cui Beck ci regala un grande solo di hammond, mentre Mitchell, oltre al solito squisito lavoro alle chitarre, fa registrare la sua migliore prova davanti al microfono, grazie ad un cantato semplice ma dal grande effetto, dal quale dozzine di giovani cantanti prog dovrebbero attingere per permettere maggior presa alle loro composizioni. “Picture” non sarà un disco innovativo, forse nemmeno un capolavoro, ma è una boccata di aria fresca, a mio parere sono persino riscontrabili alcuni elementi importanti di evoluzione del suono progressivo, non ultimi il ritrovato culto del ritornello e un impiego più misurato delle tastiere che, come detto, tornano semplicemente ad ornare e non a recitare una parte di assoluta protagonista. Un ascolto, a dir poco, piacevolissimo che speriamo possa ripetersi anche in altri capitoli futuri.