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Uno dei più grandi gruppi di San Francisco dell’ epoca psichedelica, sebbene arrivati al contratto discografico in ritardo rispetto a Jefferson Airplane e Grateful Dead. Dopo un primo album che non riusciva a trasmettere le stesse vibrazioni che i Quicksilver erano soliti dare nelle incendiarie prove live, il gruppo di John Cipollina e Gary Duncan rimette le cose a posto col successivo “Happy Trails”, album registrato dal vivo al Fillmore, pubblicato nel 1969 che entra direttamente nella storia del rock. “Happy trails” è un disco stratosferico, storico, forte di un suono altamente vigoroso che mette immediatamente in rilievo il peculiare stile chitarristico di Cipollina e Duncan, tra incroci solistici dal grande effetto, immersi in una attitudine volta alla sperimentazione e all’improvvisazione comune solo ai più grandi nomi emersi in quegli anni. Il disco è strutturato attorno ad una lunghissima improvvisazione su un tema di Bob Diddley,”Who do you love”, portato qui in una versione acida e dilatata, in cui convergono sonorità allucinanti e fughe strumentali in cui i due chitarristi hanno ampie possibilità di improvvisazione. Questo brano oltre ad essere uno dei cavalli di battaglia dei Quicksilver è anche uno dei maggiori esempi di acid rock emersi nell’età psichedelica. Trovano spazio almeno altri due capolavori, “Mona” firmata ancora da Diddley, ma soprattutto gli eccezionali 13 minuti di “Calvary”, questa volta firmata da Duncan, in cui si riassumono gli elementi psichedelici dell’epoca attraverso un brano tra i più incredibili per senso sperimentale, raggiunto attraverso quelle caratteristiche che hanno reso leggendari i Quicksilver Messenger Service, ovvero una sensazionale capacità di dilatazione strumentale, di vigore sonoro, grazie a riff distorti che ben presto si asciugano in veri e propri lamenti “blueseggianti”, su basi pacate che improvvisamente esplodono in orge sonore dal vago sapore rock blues, in cui si cerca anche di far confluire sensazioni come la tensione tramite vocalizzi davvero inquietanti, snodati attorno alle solite fughe chitarristiche di Duncan e Cipollina, qui davvero su livelli leggendari e con un suono grandiosamente caldo, a tratti selvaggio, tipico dei grandi chitarristi che han fatto la storia del rock. Difficilmente i Quicksilver si ripeteranno, su disco, su questi livelli, dal momento che successivamente pubblicheranno lavori soltanto discreti. Oltre ad essere quindi il loro miglior disco, “Happy Trails”, che si distingue anche per la bella copertina di chiaro sapore “western”, è senza dubbio uno dei maggiori esempi di rock psichedelico emerso dalla zona di San Francisco, dunque uno dei più importanti e rappresentativi. Per chi ama i Grateful Dead, un acquisto obbligato.