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Parlarvi di Anatrofobia non è impresa semplice. Troppo facile ed automatico raccontarvi di sperimentazione e ricerca, sentieri ovviamente ed ampliamente battuti da questo straordinario collettivo piemontese. In realtà scoprire Anatrofobia per il sottoscritto è stato più propriamente una esperienza sonora con pochi precedenti. E’ come se avesse spalancato porte di cui ignoravo addirittura l’esistenza, al di là delle quali si delinea un mondo sì conosciuto, ma non da queste particolari angolazioni artistiche. Si tratta di una delle musiche più affascinanti e complesse che mi sia capitato di ascoltare, in cui ho provato più volte smarrimento per poi quasi subito ritrovarmi e constatare una amabile e gradevolissima accessibilità sonora, che mi ha anche spinto verso ripetuti ascolti, più o meno attenti, più o meno consapevoli. Da qui alla quasi totale dipendenza da questi suoni il passo è stato davvero breve. “Tesa musica marginale”, quinto capitolo su Wallace Records dei piemontesi Anatrofobia, è l’incarnazione musicale della tensione, la ricerca perenne della sorpresa, attraverso forme sonore che entrano a contatto con gli stilemi tipici del jazz rock più libero e non strutturato, quello soprattutto degli anni 70 in cui ho notato a volte qualche contatto con i leggendari Henry Cow. Recitano una parte di assoluto rilievo i sax di Alessandro Cartolari, vibranti e nervosi ma anche notturni ed enigmatici, adagiati con ingegno unico sulle complesse ritmiche di Andrea Bindello (Batteria) e Luca Cartolari (Basso). L’esordio di “Uno scoiattolo in mezzo ad un’autostrada” evidenzia sin da subito queste prime coordinate, attraverso temi volutamente frammentari che ricercano insistentemente sensazioni legate alla sospensione e alla già citata tensione. La sorpresa sta nell’improvviso rilascio, quasi piacevolmente melodico almeno inizialmente, in cui quella ridente sensazione di rilassamento, ricavata da alcuni temi di sax soavi ma sfuggenti, sembrano aprire sublimi squarci di luce, i quali, altrettanto sorprendentemente, ritornano ancora ad esplorare i frammenti più nascosti ed affascinanti del buio. Si insiste ancora sulla tensione con l’immediatamente successive “Un leggero battito d’ali” e “Frammenti di durata”, ancor più scure e inquietanti dell’esordio, forse meno bizzarre nelle loro pur non facili costruzioni. Il piatto forte di queste composizioni sono le bellissime combinazioni dei tappeti sonori creati da fiati ed elettronica, talvolta coadiuvati dalle solite geometrie complesse della sezione ritmica. Notevole il lavoro ritmico alla chitarra di Roberto Sassi su “La prima Merla”, inizialmente compassato e al servizio del bel tema in rilievo, successivamente più istintivo e rabbioso, con esplosioni metalliche che confermano l’assoluta imprevedibilità di soluzioni adottate dagli Anatrofobia, che amano giocare anche con squisiti breaks ai limiti dell’ambient. Cosa dire invece delle sovrapposizioni di “Sotto il livello del mare”, in cui sax riverberati, chitarre impazzite e un basso pulsante ed ultra compresso si rincorrono intrecciandosi all’infinito? Assoluta genialità. “Silence” si incammina in territori maggiormente distesi, in cui si familiarizza quasi subito con una melodia in bilico tra il cinematografico e un elegante jazz dal vago sapore notturno. Conclude questo affascinante cd uno studio di Alessandro Cartolari dell’opera 87 di Dmitri Shostakovich, “Senza il tuo perdono posso vivere lo stesso”. La composizione in questione non si distacca troppo da quanto ascoltato sui brani precedenti, vive il solito e magnetico fascino sonoro, ma in più si apprezza un piacevole senso di stasi che regala attimi di inconsueto relax. In conclusione mi preme sottolineare l’abilita di questo gruppo che, come altri del nostro paese, vivono uno svilente anonimato, ma, viste le qualità, ci sarebbero tutte le premesse per delineare ai nostri ben altri orizzonti, fatti di soddisfazioni artistiche e perché no economiche. Si tende spesso ad esaltare, senza motivo a volte, compagini estere ai quali riconosciamo sin da subito maggior fascino. Non solo Anatrofobia è uno dei migliori gruppi che ho avuto l’onore di conoscere ultimamente, ma è anche uno di quelli che potrebbe far conoscere altri punti di vista, altre angolazioni stilistiche volte alle esplorazioni musicali più bizzarre e al contempo sopraffine. Assolutamente da scoprire.