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E’ impossibile godersi appieno l’esordio dei Wilderness. Intendiamoci, l’omonimo non è assolutamente un brutto lavoro, ma ha una caratteristica che forse lo rende addirittura peggiore del caso sopraccitato: manca assolutamente di personalità. Ascoltare Wilderness è come assistere ad un gioco di citazioni e rimandi che portano inevitabilmente ad uno scorcio di fine anni settanta/ottanta; ed ogni canzone diventa un “ma questa dove l’ho già sentita.. ah sì!” e via a fischiettare il motivo di altri pezzi ben più famosi. A partire dal tono declamatorio della voce, un emulo abbastanza fedele di ciò che fu Rotten ai tempi dei P.I.L, fino a centellinare ogni singolo particolare del disco: ecco qui Stars Are Stars degli Echo And The Bunnymen! E questa non è Eroes di Bowie senza tappeto ambient?! E perché qui provano ad infilare i Mogwai con gli U2? E così via, fino alla fine del disco. Tralasciamo poi che, in fatto di scelte dei suoni, sembra di stare ad ascoltare una Picture Of You dei Cure suonata per cinquanta minuti di seguito. Rimandati al prossimo disco, non basta amalgamare tutte le citazioni in salsa post rock, anche così il gioco mostra la corda fin troppo in fretta. Un pregio però l’hanno: sono così sfacciati che qualcuno potrebbe ascoltarsi i gruppi citati nella recensione..