Intervista a 24 Grana: Inestimabili…24Grana

  • Primo caldissimo giorno di Agosto, al Giovinazzo Rock Festival (evento organizzato dall’ Arci Tressett Giovinazzo e dalla m.e.i.) Armando Cotugno e Francesco Di Bella ripercorrono per Rocklab, in maniera meravigliosamente esaustiva, il viaggio dei 24Grana in questi 10 anni di musica.
    Gli occhi di due persone di una dolcezza e di una affabilità disarmante, bramosi di esprimere l’estrema passione per la musica.
    Una musica che parte dal cuore, disinteressata a qualunque sterile sistema di profitti, spinta solo dagli inarrestabili moti dell’animo e dall’urgenza di riuscire a farsi comprendere.

    Rocklab. Mi racconti brevemente come nasce il progetto 24Grana e in che modo vi siete ritrovati insieme a fare musica?

  • Armando. Il progetto è nato quando eravamo ragazzini e inizialmente non era neanche un progetto, abbiamo iniziato come cover-band. Nel nucleo originario eravamo io, Francesco, Renato ed altre due persone che non hanno proseguito con noi. Ad un certo punto abbiamo iniziato a sentire l’esigenza di fare cose nostre, c’eravamo stufati di fare pezzi di altri. Ci sono venute alcune idee e abbiamo messo su questo progetto. Poi si è unito Peppe, che è il nostro chitarrista e abbiamo iniziato a scrivere cose nostre e a portarle un po’ in giro. Nel 95 ci siamo trovati sulla scia, forte, del reggae, del dub e delle Posse. A Napoli, come sicuramente saprai, c’erano nomi importanti, che in parte ci hanno indirizzati e fatto un po’ da mentori, dandoci dei segni da seguire e delle indicazioni che all’inizio abbiamo seguito ed è stato bello, poi da lì il progetto si è evoluto per strade diverse.
  • R. Metaversus Reprise Tour 2005 : Cosa proponete con questo tour e come sta andando?
  • A. Il tour si chiama così perché è partito in concomitanza con l’uscita della ristampa di Metaversus. Fino all’anno scorso era impossibile reperirlo perché era della CGD, che lo ha messo fuori catalogo. Non ha avuto da noi quello che voleva e ce l’ha praticamente boicottato. Avendo l’esclusiva di pubblicazione non abbiamo potuto ristamparlo prima, e per questo è stato introvabile. Essendo uno dei dischi a cui siamo più affezionati ci è sembrato proprio necessario ristamparlo e adesso che sono scaduti quei 5 anni di esclusiva della CGD lo abbiamo potuto fare allegando un dvd per realizzare una cosa più completa. Fortunatamente il tour sta andando bene. Pare che le cose, dal punto di vista della musica dal vivo, in Italia, non vadano perfettamente negli ultimi anni. A noi “ facenn’ ‘e ccorn’”……gira. I concerti vanno bene, abbiamo suonato più meno in tutta Italia, da nord a sud e continua ad esserci un buon feeling tra di noi, un buon feeling con la gente. Andiamo avanti fino a metà agosto poi ci fermiamo per una quindicina di giorni e poi riprendiamo a settembre. Devo dire la verità, solitamente le cose al sud funzionano male ma fortunatamente la situazione di stasera e quella di ieri a Buonabitacolo (Sa) sono due perle rare rispetto alla media, perché abbiamo trovato persone gentilissime, calorose, affettuose. Concerti organizzati bene e anche stasera si preannuncia una bella serata.
  • R. In che modo è cambiato il vostro approccio musicale rispetto agli esordi?
  • A. L’approccio non è cambiato poi tanto. La nostra tendenza è sempre quella di non seguire degli schemi prefissati. Non riusciamo a stabilire a priori il prossimo disco di che genere sarà o quali strade dovrà percorrere, ci lasciamo un po’ prendere dal nostro momento emotivo. E’ stato sempre così. Se vai un po’ ad analizzare tutti gli album c’è “Loop” che è molto dub, volendo etichettare, “Metaversus” è molto più rock con anche qualcosa di post-rock e con una forte influenza elettronica, “K-Album” ha una tendenza più al pop-rock, con minore intervento dell’elettronica, un po’ più rilassato e meno indie forse, come genere di musica ma non come concezione. “Underpop” invece è proprio pop.
  • R. Perché la scelta di “Underpop” come nome dell’album?
  • A. Noi siamo convinti che il pop sia comunque un’ottima espressione della musica. Un modo di fare musica che ha l’intenzione di arrivare alle persone indistintamente e credo che questo sia un elemento importante. Purtroppo col passare degli anni si è creato un legame stretto tra il pop e la musica banale o insignificante. Non è così. E’ semplicemente un modo di esprimere le cose nel tentativo di renderle comprensibili alle persone e “Underpop” è stato un modo per cercare di riappropriarci di questo significato del pop. Perché “under”? L’abbiamo inteso un po’ come sottocultura del pop o come sotto prodotto del pop mainstream, però con la pulsione di fare sempre e comunque le cose che piacciono a noi. Se tenti di farle in maniera che siano più o meno facilmente ascoltabili secondo me non cambia molto rispetto all’essenza di quello che fai, quindi è importante il punto di partenza. Se parti da quello che vuoi fare secondo me fai delle buone cose, poi che siano belle o brutte non ha importanza. Sicuramente fai delle cose buone perché sono fatte col cuore. Se invece parti pensando all’obiettivo che puoi raggiungere in termini di vendita o di successo non stai facendo più musica ma stai facendo business. Noi partiamo sempre dalla musica.
  • R. Da anni girate l’ Italia in lungo e in largo, non avete mai temuto che i vostri messaggi , fuori dal napoletano, non venissero compresi?
  • A. In effetti questa paranoia ci viene spesso, non a caso “Underpop” contiene dei pezzi in italiano che purtroppo sono stati intesi da moltissimi come un tentativo di diventare più commerciali, più vendibili e di fare più soldi. In realtà non è così perché comunque ci siamo accorti e ci accorgiamo tuttora che molte cose non vengono recepite sempre a pieno. Però c’è da dire che al di là delle discendenze napoletane del pubblico che ci segue, secondo me c’è proprio un modo diverso di approcciarsi alla musica. Ci sono delle persone che sentono un qualcosa e da quel qualcosa traggono lo stimolo per approfondire. Questi nonostante il napoletano riescono ad arrivare al senso della nostra musica e a trarne dei significati loro, delle emozioni. Ecco, se le persone sono troppo pigre per ascoltare la musica e la sentono distrattamente onestamente non ci posso fare niente. Non è nemmeno quel tipo di pubblico che mi interessa. Uno può cercare di rendere le cose un po’ più facili da comprendere, per cercare di tirare dalla parte degli ascoltatori le persone che sono ancora un po’ pigre, ma non si può andare troppo in là. Scrivere in napoletano alle volte è un’esigenza, un’ esigenza anche musicale. Il napoletano lo parliamo spesso tra di noi. Ha una sonorità diversa dall’italiano e forse in parte anche più adatta alla musica. Per cui non riusciamo a prescindere sempre da questa cosa. Certo mi dispiace che si possano perdere dei possibili ascoltatori però sono convinto che chi ci vuole seguire ci segue.
  • R. C’è una canzone o un album che considerate un errore?
  • A. No, un errore tout-court no. Un po’ per tutti gli album pensiamo che siano stati fatti degli errori, ma questo credo che sia anche fisiologico, nel senso che dopo aver creato qualcosa poi ripensi a tutte quelle sfumature che avresti potuto attribuirgli. Con “Underpop” forse abbiamo commesso qualche errore d’ingenuità perchè non abbiamo pensato a come sarebbe potuto essere interpretato, e da molti purtroppo è stato interpretato male. Certo non è corretto imputare tutta la colpa alle persone e se è stato interpretato male può anche darsi che non siamo riusciti a esprimere bene il concetto, vuoi per degli errori nostri nella scrittura dei pezzi, degli arrangiamenti, vuoi per delle deficienze a livello di promozione. Alle volte far transitare i messaggi è un po’ difficile e giornali, radio, televisione non sono molto accessibili a noi, quindi diventa tutto un po’ più complicato. I dischi danno un’idea di quello che sei nel momento in cui li fai e poi è un po’ difficile sbagliare se come dicevo prima parti dalla musica e dalle tue sensazioni. Se parti da te stesso non puoi commettere errori. Sei te stesso e in quel momento hai un determinato stato d’animo ma non è comunque un errore. Ti stai semplicemente presentando per quello che sei.
  • R. Quali artisti hanno influito maggiormente sulla vostra formazione?
  • A. Per quanto ci riguarda abbiamo influenze musicale molto diverse tra di noi. Io ho una passione legata più ad un gruppo che ad uno stile di musica : i Talking Heads e la new wave, però anche qualche cantautore italiano, soprattutto De Andrè. Le cose più recenti che mi fanno impazzire sono i Radiohead e i primi Massive Attack, musica elettronica, reggae e rock. Francesco ha una forte passione per i Joy Division e per il pop anni 80. Peppe una fortissima passione per la psichedelia. Renato un’ amore molto forte per il reggae, forse più del mio.
    Quattro persone diverse che alla fine si trovano anche d’accordo su delle cose fondamentali riguardanti l’esistenza e il modo di vivere, per questo riusciamo a mettere insieme anche le nostre passioni musicali, altrimenti sarebbe impossibile. Forse proprio per questo nasce qualcosa che fino ad ora spero sia stato in qualche modo originale o comunque possibile.
  • R. 3 dischi assolutamente da avere…e 3 da evitare….
  • A. Assolutamente da avere: “Remain in light” dei Talking heads, “Ok computer” dei Radiohead e “Premiers Symptomes” degli Air che non so perché ma mi ha segnato anche abbastanza. I tre da evitare? In effetti se li evito non mi ricordo neanche i titoli…Dj Francesco avrà fatto qualche disco e lo eviterei. L’ultimo di Jovanotti. Ho sentito solo il singolo in radio e non l’ho gradito. Penso che sia diventato un po’ stucchevole ed eccessivamente demagogico. Però questa è una sensazione e forse e un po’ cattivo metterlo tra i dischi da evitare. Infine tutti gli ultimi di Pino Daniele da 10 anni a questa parte. Penso che abbia fatto belle cose, ma adesso non ha più niente da dire, e sarebbe il caso di rendersene conto. Spero negli anni di mantenere lucidità, e nel momento in cui non avrò più niente da dire, di riuscire a levarmi da mezzo per fare qualcos’altro. Anche se penso che sia difficilissimo. Si tratta di accettare una serie di cose non belle e forse non ci riuscirei neanche io.
  • R. Personalmente sono rimasta particolarmente colpita da testi come “L’attenzione”, “Il Gattone” e specialmente “A cascia”.
  • A. “A Cascia” è nata proprio come un gioco linguistico, originariamente era una serie di nonsense tutti giocati sulla “sc” poi piano piano ha assunto un significato secondo me anche abbastanza leggibile, interessante e di una certa intensità emotiva. Per noi napoletani alcune cose appartengono proprio al substrato culturale: la “cascia” (la cassa) in cui si conservano le cose e da cui si può tirare fuori di tutto. C’è un’altra canzone “Tarantolata”, presente sul nostro primo mini-cd, che parlava di spaghi nascosti nei cassetti conservati per l’utilità futura possibile.
  • R. Il disco con cui vi ho conosciuti è “Live” al Teatro Nuovo e rimane sempre il mio preferito.
  • A. Sì in effetti anche a me piace moltissimo, perché lo abbiamo registrato in una botta sola , o andava bene o andava male. Fortunatamente è andato benissimo. Però personalmente sono molto più affezionato a Metaversus perché è anche il più incomprensibile. Anche Francesco, in quel periodo, era molto ermetico. Ci sono delle cose che mi emozionano ed è bello che a distanza di 6 anni suonando certi pezzi mi vengano o le lacrime agli occhi o i brividi addosso. Questo non mi succede solo con Metaversus, anche con gli altri ma principalmente è quello a cui sono più affezionato.

    A questo punto raggiungiamo Francesco, appena arrivato con gli altri, per porgli qualche domanda sulla genesi di alcuni testi di Underpop.

  • R. Mi racconti come nasce il testo dell’Attenzione?
  • Francesco. “L’attenzione” nasce dal tentativo di scrivere una cosa chiara per tutti. Sai io scrivo in dialetto e molte cose hanno dei riferimenti personali che magari sono interessanti narrativamente, ma poi non sono troppo facili da estendere come comunicazione. L’ attenzione invece nasce per un pubblico a 360 gradi, con un tipo di testo molto semplice ed intelligibile. Era un richiesta molto urgente a differenza di altre cose che sono molto più personali. Non tutte le canzoni hanno la stessa urgenza di comunicazione secondo me. Questa è tra quelle che hanno un’assoluta urgenza di essere comprese.
  • R. Curiosità mia. Mi dici chi rappresenta “L’orsetto che vuol farla finita” (Testo “Canto Pe Nun Suffrì”)?
  • F. Può essere un amico, la possibilità di dare un consiglio a qualcuno.
    “Io canto per non soffrire” è una ricetta antichissima. Attraverso la musica si è ritualizzato il contatto con il mondo sconosciuto, con il mondo delle paure quindi sicuramente cantare è una delle prime armi per soffrire di meno. Quello era un riferimento a me molto vicino che comunque si può estendere a tante persone. Noi abbiamo un rapporto con il pubblico molto particolare. Non li consideriamo effettivamente un pubblico ma degli amici che vengono alla stessa festa a cui vai tu e anche questa è stata una canzone abbastanza urgente.
  • R. E il Gattone invece? Apparentemente può sembrare una ballata giocosa e spensierata, ponendo attenzione al testo è evidente invece che ha un intento più profondo e intimo. Come è nato questo brano?
  • F. L’idea del gattone è molto infantile. Nasce dal gatto Doraemon il cartoneanimato, e nascendo da lì gli ho lasciato quel tipo di metafora. Ho sempre considerato i 24 grana o almeno me stesso come un musicista giocattolo, quindi con molti riferimenti a quella che può essere stata l’infanzia dai larghi 70 in poi.
  • R. Domanda apparentemente banale ma forse non tutti lo sanno, io per prima. “24 grana” cosa significa?
  • F. E’ il nome di una moneta in uso durante il regno del Re Ferdinando D’Aragona , di valore molto infimo, per cui nasce dalla scarsa considerazione di se stessi, dall’ottica del no-future. Credo possa essere considerato un nome punk….. o almeno nella mia fantasia.