Ryan Adams – Cold Roses

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Un ritorno atteso quello di Ryan Adams. A due anni di distanza dai discussi “Love is Hell” (in due parti) e “Rock ‘n Roll”, il bravo autore di Jacksonville sembra volersi riprendere alla grande dall’anno sabbatico: infatti, per questo 2005 gli appuntamenti discografici con Ryan sono ben tre, e se le due release ancora da pubblicare saranno sui livelli di questo “Cold Roses” che mi accingo a recensire, ci sarà davvero di che essere felici. Lasciate da parte le critiche, a mio avviso inspiegabili, che qualcuno gli ha mosso per alcune sue ultime uscite – mi ha colpito molto quella all’eccessiva “elettricità” di “Rock ‘n Roll”, ma cosa si aspettavano da un titolo del genere? – Ryan si è messo al lavoro alla grande, tenendo fede alla sua proverbiale prolificità, e il primo risultato delle sue fatiche è questo doppio album suonato con l’appoggio di una nuova band, i “The Cardinals”, che svolge decisamente alla grande il proprio lavoro assecondando perfettamente il nostro artista. Ryan è tornato a un rock acustico molto soft, la spina dell’elettrica è staccata in molti brani dell’album ma non se ne sente la mancanza: quello in cui Adams sembra volerci accompagnare è una sorta di viaggio attraverso gli USA e la loro fondamentale storia musicale. Pezzi acustici d’autore memori del buon vecchio Bob Dylan, ballate country “à la Crazy Horse”, intensi blues e sporadici episodi di rock solitario degni del miglior J.J. Cale, in “Cold Roses” c’è davvero tutta la musica che può servire per un lungo, piacevole viaggio. La voce di Ryan, come i fan ben sanno, è capace di regalare emozioni davvero grandi, e, per quanto abbia amato “Rock ‘n Roll”, è fantastico ritrovarla spogliata della maniera rockettara del precedente album per dar vita ai brani d’autore di struggente intensità che attraversano tutto questo disco. Il bello della musica di questo nostro artista sta nella personalità con cui recupera la lezione dei grandi maestri conterranei, facendo propria a tutti gli effetti un’intera tradizione di musica rock: ascoltate la dolcissima “Blossom”, brano al pianoforte in cui il nostro a tratti pare emulare il mito Springsteen, salvo poi aggiungere all’interpretazione quello che è il più puro “Ryan-Adams-Style”, o ancora la solare, desertica “If I am a stranger”, un brano che con la sua atmosfera ed i suoi arpeggi chitarristici difficilmente avrebbe sfigurato nell’ultimo “To Tulsa and Back” del signor J.J. Cale. O ancora, brani dalla bellezza sconcertante come “Dance all Night” o “Magnolia Mountain”, con la sua armonica, la voce acuta di Ryan e la sua stessa struttura, non sembra di risentire il miglior Neil Young dei tempi che furono, in compagnia degli amici CSN e Crazy Horse? Eppure non sono questi grandi della musica ad essere tornati, è Ryan Adams che ci sta mostrando come fare certa musica con un elevato spessore e una gran classe sia ancora possibile. Vi emozionerete ascoltando uno splendido pezzo da viaggio come “Easy Plateau” – non penso esista luogo migliore della vostra macchina e una lunga, scorrevole strada per ascoltarla –, proverete un deliziato piacere ascoltando il rock classico di “Beautiful sorta” o le venature bluesy di “Mockingbird” e forse vi commuoverete fino alle lacrime godendovi l’intensità di ballate come la title track o quella deliziosa “How do you keep love alive” che chiude il primo CD. Il lavoro svolto da Ryan Adams in quest’album è incredibile: il nostro è riuscito a comporre dei brani a dir poco meravigliosi e a regalarci delle interpretazioni convincenti, da brivido. Un plauso va anche al lavoro dei Cardinals, quattro musicisti davvero in gamba che hanno svolto la loro parte anche nella stesura di queste 18 perle. Ora non ci resta che attendere l’uscita di “29” e “Jacksonville City Nights”, gli altri due album annunciati per questo 2005, ma intanto non possiamo che dire «bravissimo» al Ryan Adams che ci ha donato questo meraviglioso, imperdibile “Cold Roses”.