Opeth – Ghost Reveries

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Dopo il dittico “Deliverance”/”Damnation” e del DVD “Lamentations” che nel 2002/2003 hanno stupito fan e critica, confermando l’importanza degli Opeth nell’ambito dell’attuale scena heavy metal, in molti erano curiosi di vedere cosa i quattro svedesi avrebbero deciso di fare. Avrebbero scelto la via pesante del nero “Deliverance” o la rotta melodica del bianco “Damnation”? La risposta fornitaci da attenti ascolti dell’atteso “Ghost Reveries” potrebbe essere riassunta nella classico sentenza «in media stat virtus», perché Mikael e soci in questo album hanno deciso di tornare sui propri passi, dando vita a quello che è a tutti gli effetti il successore di “Still Life” e “Blackwater Park”. Nulla di nuovo insomma, questo bisogna ammetterlo fin da subito: gli Opeth sono un gruppo che onestamente parlando non ha mai fatto dell’evoluzione il proprio cavallo di battaglia, tanto che c’è voluto l’intervento di Steve Wilson per dare un’evoluzione concreta al loro sound. Tuttavia, a prescindere da questo, i quattro svedesi sono sempre stati in grado di regalarci degli album all’altezza, combinando in maniera efficace le sonorità death e gothic metal di base a una vena compositiva e melodie di chiara matrice swedish prog, quella di gruppi di culto del calibro di Anekdoten e Änglagård, combinando tutti questi clichée entro uno stile assai personale. Uno stile tuttavia del quale i nostri sembrano essere rimasti prigionieri: mi ero infatti illuso per un certo tempo che “Ghost Reveries” potesse essere il loro album-capolavoro, ma purtroppo mi tocca ammettere che questa loro ultima fatica è probabilmente la più deludente release a cui gli Opeth abbiano mai dato vita. Il perché è presto detto: “Ghost Reveries” è per gran parte costituito con riff, melodie, strutture e vocals già sentite e stra–sentite nei precedenti e già citati lavori. Sul fatto che sia un album prodotto in maniera sublime e suonato come solo loro sono capaci di fare non c’è dubbio, però da parte mia trovo assurdo dover riascoltare cose già sentite e ricombinate in maniera addirittura prolissa: fare progressive non significa necessariamente dar vita a composizioni lunghe e pompose, ma purtroppo gli Opeth sembrano averla pensata diversamente e i primi tre pezzi di quest’album risultano essere il trionfo di una prolissa, sterile ripetitività. Il trittico “Ghost of Perdition/The baying of the Hounds/Beneath the Mire” si protrae stancamente per quasi mezz’ora, lasso di tempo in cui viene nostalgia per la spontaneità di un “My Arms, Your Hearse” e di “MorningRise”, nonostante la produzione si sia molto affinata rispetto a quei tempi. La quarta traccia invece si rivela essere una bella sorpresa: “Atonement” è un brano fresco, dolcemente melodico e carico di atmosfera, grazie alle ottime tastiere e alla chitarra acustica. La band sembra avere appreso la lezione di Steven Wilson – che non produce quest’album – dando vita a un ibrido fra le atmosfere di “Damnation” e di quello splendido “Marbles” che ha restituito ai Marillion un ruolo principale nella scena prog rock attuale. In questo brano la voce di Mikael ci offre un’interpretazione appassionata e coinvolgente, libera dal solito alternarsi growl/clean vocals poco convinto dei primi brani. “Reverie/Harlequin Forest” torna sulle coordinate sonore dei primi brani risultando tuttavia più convincente grazie a un rafforzato mood dark e decadente; “Hours of Wealth” è un brano semiacustico che non avrebbe sfigurato in “Damnation” e che ancora una volta incanta, rivelando l’ottima vena della band per questo genere di brani (struggenti a dir poco gli arpeggi di Peter Lindgren), e a conferma di ciò troviamo anche la splendida conclusione di “Isolation Years”, il brano più breve dell’album. Trascurabile nel complesso “The Grand Conjuration”, anche se personalmente sarei stato curioso di sentire il risultato di un cantato clean anche nelle parti più arrabbiate. Tirando le somme, credo sia il caso fare alcune considerazioni sulle intenzioni degli Opeth per il futuro: seguo questa band fin dagli esordi e ne ho potuto apprezzare la graduale evoluzione nel corso degli anni, un’evoluzione certamente lenta e graduale basata più su sfumature che su rivoluzioni vere e proprie, ma con la quale i nostri sono riusciti a fornirci sempre ottimi lavori. Mikael Akerfeldt e soci adesso sono in una situazione in cui dovrebbero attuare una scelta drastica: l’attuale scena metal non sembra offrire affatto alcuno spunto di evoluzione, dopo il grande fermento che sembrava muoversi in Scandinavia negli anni ’90 sembra proprio che la scena anche lì al nord abbia fermato il proprio processo evolutivo, rinchiudendosi in uno sterile atteggiamento conservatore. Il fatto che dei musicisti al talento ben al di sopra della media come gli Opeth abbiano dato vita a delle “canzoni-deja-vù” stucchevoli e inutilmente prolisse mi pare un segnale abbastanza chiaro. “Ghost Reveries” possiede dei momenti molto buoni che possono accontentare sia i fan di vecchia data che quelli più recenti, innamoratisi del “Wilson-sound”, ma alla lunga credo risulterà loro impossibile tenere il piede in due scarpe sperando di ottenere validi risultati: non è con le vie di mezzo che si può dar vita a dei capolavori, così possono solo venir fuori album riusciti a metà che alla lunga verranno dimenticati. Probabilmente il tour che seguirà l’uscita del disco sarà un successo, perché questi ragazzi sono davvero fenomenali nelle loro esibizioni dal vivo, ma mi auguro che prossimamente i nostri abbiano occasione di riflettere su quale strada sia più opportuno prendere per il futuro. Le potenzialità per fare di più ci sono e sono sicuro gli Opeth, se decidessero di staccarsi dai vecchi stereotipi death metal per muoversi verso la strada del progressive più emotivo, potrebbero diventare dei grandi in assoluto, e non solo nella propria scena. Sarò curioso di sentire cosa faranno in futuro, nel frattempo consiglio questo poco convincente “Ghost Reveries” solo ai fan più accaniti e ai “completisti”, per tutti gli altri dico senza problemi che questa band ha fatto di molto meglio in passato.