PGR: Ora ho ciò che mi spetta

“Ora ho ciò che mi spetta”, parafraso il testo del classico CSI “Forma e sostanza” per un semplice motivo: seguo Ferretti e compagni come devoto da quando ho iniziato ad interessarmi alla musica che non usciva solo da radio e mtv o videomusic, erano gli anni del liceo, i primi, e quel “Linea gotica” fu come un fulmine per le mie orecchie. Sono passati quasi dieci anni e fino a ieri non ero mai riuscito a vedere su un palco questi signori che in questo lasso di tempo tanto mi hanno dato con la loro musica; finalmente ho visto Ferretti urlare proteso verso i suoi fans, Canali ferire la chitarra con al consueta grinta, Maroccolo portare agli eccessi il basso. Certo mancano Zamboni e la De Marco, ma la soddisfazione è ugualmente ai massimi termini. Ma veniamo al concerto vero e proprio. Piazzale Traghetto nel parco di Asti si riempie di gente nel giro di un’ora e quando, con mezz’ora di ritardo, i PGR salgono sul palco vengono accolti da un vero e proprio boato, boato che aumenta a dismisura quando inizia il concerto con i ripescaggi dei periodi CCCP\CSI, “Brace-Narco$-Forma e sostanza” avvolgono immediatamente il pubblico e introducono perfettamente a quello che sarà uno show con pochi eguali. Come con pochi altri artisti m’è successo, per tutte le due ore e un quarto del concerto resto senza fiato, senza parole se non quelle delle canzoni, con gli occhi incollati al palco, totalmente rapito dalla musica, dalle luci, dalle parole, dalle immagini che scorrono sui megaschermi. Un’esperienza unica e potentissima, sia le canzoni dell’ultima incarnazione del progetto di Ferretti e soci PGR, sia i classici del passato CCCP\CSI escono dagli amplificatori trascinanti e perfette. Si passa dalla forza impeccabile della recente “Orfani e vedove” regnata da un trionfo di suoni e potenza, con la ballerina Chiara a dimenarsi sul palco e a lanciare popcorn al pubblico, a un classico degli anni ’80 come “Tu menti”, capace ancora oggi di generare un pogo scalmanato per poi emozionarsi con “Unità di produzione” e la sua capacità evocativa figlia degli anni ’90. Questo sono oggi i PGR: lo specchio di tre ere differenti, di tre decadi. Ma ancora più che nella musca questo si nota guardandosi attorni tra il pubblico: ci si trova a fianco a signori dai capelli brizzolati che vent’anni fa impazzivano per il punk schierato dei CCCP; si incrocia lo sguardo di magri trentenni che mentre io entravo nel mondo dell’adolescenza si illuminavano con le sperimentazioni dei CSI; infine ci sono i ragazzi più giovani, quelli che sono entrati in questa favolosa saga musicale da poco ma che sanno già urlare più di vent’anni di canzoni. Quindi come non elogiare i PGR per questa forza unificante capace di far fondere assieme tre generazioni, di fargli urlare le stesse parole, di fargli amare la stessa musica? Questa è sicuramente una delle loro conquiste più importanti, anche più di tutti i fantastici risultati raggiunti con le sette note. Un clima familiare quindi, un’intimità tra musicisti e pubblico fortissima e bellissima. In mezzo al palco è in bella vista un tavolo con due sedie, vino, acqua, sigarette, a cui gli artisti si accomodano quando non stanno suonando, ma tutto il pubblico è li con loro, come se il concerto diventasse un fare quattro chiacchiere tra vecchi amici, e per me è proprio questa l’anima dei nuovi PGR, quella semplicità e quella spontaneità nella musica professata in “Alla pietra” con cui hanno aperto i bis. Apice del concerto, per quanto mi riguarda, il classico dei CSI “A tratti, eseguita inizialmente dai soli Ferretti e Canali per poi accogliere tutti i musicisti fino al degenero sonoro finale. Semplicemente da brividi. Il concerto si chiude con una dilatata, potente e intensissima “Cavalli e cavalle”. Uscendo dal parco si è ancora estasiati per quanto si è sentito e vissuto e francamente non posso che augurarmi che questi artisti continuino a essere nocchieri della musica italiana più intelligente radunando intorno a loro sempre più generazioni.