Coppola, Fabrizio – Una Vita Nuova

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Ho conosciuto Fabrizio Coppola alla Libreria Acustica di Monza, una grotta rifugio per chi come me è assetato di musica. Purtroppo non c’è più la libreria, ma Coppola sì. Poi ci siamo visti quasi un anno dopo in un insolito concerto a Rovigo con altri amici comuni. Come sempre avviene ci si perde un pò di vista, io sono andato via da Milano per quasi tutto il duemilacinque e quindi per caso navigando sul suo sito ho scoperto che stava registrando il nuovo disco. Da quel giorno l’ho rincorso, al solo scopo di farci due chiacchiere. Ci siamo incontrati alla festa di natale di cui ho già parlato. Li ho finalmente avuto in mano il nuovo disco. Per giorni da quella notte è rimasto dentro al mio lettore Cd dell’auto, e appena salivo alzavo il volume e via. “Una vita nuova” è un disco completo. Musicalmente più maturo e meno figlio dell’urgenza de “La superficie delle cose”, ma ispirato, con dei picchi davvero incredibili. L’ho ascoltato attentamente e personalmente ritengo che brani come “Dove l’acqua muore” sia una perla di rara bellezza come binomio testo-musica, se c’è qualche giovane regista in giro, acquisti in fretta i diritti di questa storia perchè sviluppandola ne uscirebbe un film bellissimo, la colonna sonora già c’è. Anche “1973”, piccola storia di vita famigliare, talmente viva e vera che mi ha fatto ripensare anche alla mia personale vicenda, e non ho vergogna ad ammettere che in uno degli ascolti un pò più attenti mi sono perfino commosso. Ci sono le possibili hit come “Radici”, bellissimo slow rock tipico della scuola del New Jersey dalle parti di Asbury park, o ancora “Non ci sei più” che se chiudo gli occhi m’immagino a Woodstock, nella casa di Bob Dylan con tutti i Rolling Stones, a parlare e bere vino davanti al camino, e poi ancora il blues de “Una piccola fiamma” che strizza l’occhio alla scuola australiana di Nick Cave. E poi le storie metropolitane dedicate a Milano, (la città che muore, il cielo su milano, tutto resta uguale), la Milano dei perdenti, di chi non gioca in borsa, della periferia perduta, che l’altra Milano tutta luci e pailletes non vuole vedere, ma che c’è. Di chi a fine mese fatica a pagare l’affitto, di chi ha l’anima ricolma di voglia di vivere, di sentimenti veri, e non menzogne buone solo per la pubblicità, di storie quotidiane che viviamo tutti. L’indifferenza della signora del bar quando fai colazione, o del giornalaio che al tuo buongiorno risponde con una smorfia infastidito. Una città senza più identità, o meglio dalle mille identità purtroppo non più definite. Negli anni ottanta era la “Milano da bere”, oggi non è più niente. Questa è la Milano di Coppola. E’ la mia, la nostra Città. E’ la Milano che nessuno vuol vedere, ma c’è, esiste. Le storie che racconta Coppola sono dei piccoli viaggi intorno e dentro alla città, ai suoi abitanti, ai suoi mille volti, e non c’è solo tristezza o solitudine o rabbia, ci sono anche i cori gioiosi di “Esplode la gioia” o per l’arrivo di “Una vita nuova”, un blues tirato con tanto di fiati che alla Sun Records si spellerebbero le mani dagli applausi. E’ un disco davvero bello, insolito se vogliamo, ma non certo brutto. Potremmo scomodare Springsteen e Nick Cave o il nostrano Ligabue se volete, ma io invece dico che è Fabrizio Coppola. Potremmo riempire una pagina intera di nomi riconducibili a tutto ciò che ha fatto in questo disco, alle influenza più o meno reali, da tutti può aver preso un pezzettino, come tutti noi facciamo, del resto. Ma lui c’è. La sua vena è comunque pura e speriamo che la miniera da cui stilla le parole delle sue storie e le note delle sue melodie sia inesauribile. Ha raggiunto maturità nei testi e anche nella musica che ha forse perso l’immediatezza del rock grezzo e acido dell’esordio dicevo, per lasciare il posto ad un rock più pregno, più curato, a pianoforti e tastiere in odor di hammond da fare accapponare la pelle, ad uno stile più “americano”, più figlio delle periferie suburbane di New York, ma anche a Milano ci sono i senzatetto e i grandi centri commerciali, vita e morte delle grandi città. E lui questo lo vede e lo dice. Osserva e descrive gli angoli oscuri delle nostre quotidianità. Correte a cercare il disco e compratelo, vi accompagnerà nei vostri viaggi su e giù per la A4 o la A14 da Milano verso dove vi pare. Certo non è la Route 66 o chissà quale altra highways che taglia gli States, ma godiamoci la nostra terra, usiamo gli occhi per vedere ciò che ci accade attorno e le orecchie per ascoltare le storie del nostro Fabrizio (Carver) Coppola. E se dal vostro viaggio mandate una cartolina a qualcuno scriveteci : Greetings from Asbury’s park, Milano, Italia.