Pearl Jam – Pearl Jam

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E’ seriamente incontenibile il desiderio di urlare a pieni polmoni “Finalmente sono tornati, Dio quale geniale ritorno”. Vorrebbe essere un inno al capolavoro. Vorrebbe tanto essere uno smacco contro tutti i miscredenti. Ma le prove scarseggiano amaramente e risulterebbe altamente macchinoso dimostrare la potenziale levatura di questo ottavo album della loro carriera. No, purtroppo bisogna andarci molto piano con i facili entusiasmi, ammettendo che PJ è sì un buon album rock, che in qualche momento sembrerebbe anche richiamare sapientemente i fasti del passato con alcune intuizioni elettriche di tutto rispetto e con la coerenza ideologica di sempre, ma no, questa volta non ci troviamo di fronte ad un capolavoro! Questa volta si tratta di un rock un tantino polveroso e anche un po’ infiacchito, che si accomoda silenziosamente tra Binaural e Riot Act, senza azzardi, senza rilevante genialità e senza toccanti effetti sorpresa. Nonostante le prime cinque tracce possano risultare dal temperamento affilato e dinamico, proseguendo nell’ascolto si ha l’impressione di aver acquistato una raccolta di tutti quei brani rimasti fuori durante le preparazioni dei due predetti album, per cui niente melodie vincenti, ma controllati virtuosismi elettrici, niente toni bassi e cupi che inquietano l’animo, ma urla spezzate e a volte anche un po’ strozzate. Quarantanove minuti circa che scorrono molto rapidamente tra slanci punk, qualche minuto di country sommesso e assoli talvolta distorti fortunatamente alla vecchia maniera. In alcuni momenti rimarrete piacevolmente interdetti da tanto impeto in altri dovrete invece controllare che numero di traccia risulti sul display del vostro stereo, ma una cosa è certa, una volta iniziata Come Back dovrete preparare i fazzoletti perché Vedder e McCready vi regaleranno una ballata intrisa di soul e blues d’altri tempi di raffinata bellezza. In altre parole si attende pazientemente quattro anni, si seguono diligentemente tutte le news, si smanetta tra siti ufficiali e fan club nella speranza di capirci qualcosa, di immaginare in che direzione si muova questa volta l’estro compositivo dei cinque, ma poi una volta divorato il risultato per giorni e giorni si rimane inermi, intontiti e ci si sveglia solo quando si prende atto che se si dà nuovamente il play è solo ed esclusivamente per incondizionata devozione.