Israelite, Koby – Orobas: Book Of Angels Vol. 4

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A mio parere Koby Israelite è uno degli ultimi geni della musica contemporanea. Chi non dovesse avere confidenza con l’artista israeliano, inglese d’adozione, sappia che non stiamo parlando della nuova sensazione brit pop, o dell’ennesima star in cerca di gloria. Tutt’altro. Koby è un artista nell’accezione più ampia, un eccellente polistrumentista alle prese con un caleidoscopio musicale in cui confluiscono klezmer, jazz, fusion, musica etnica, progressive addirittura escursioni nel metal più estremo e nel rock in generale. Quello che mi accingo a raccontarvi è il suo ultimo lavoro, “Orobas – Book of angels” – per dovere di cronaca preciso che si tratta del suo terzo album per la gloriosa e benedetta Tzadik – una sua collaborazione col datore di lavoro John Zorn, costituita da una serie di composizioni tratte dal Masada Book dello stesso Zorn alle quali Koby ha conferito le sue personalissime interpretazioni. Suggestioni mediorientali, ben espresse nell’opener “Rampel”, improvvise esplosioni elettriche, come quelle esemplificate in “Zafiel”, in definitiva un plot sonoro di notevole caratura che raramente si ha l’occasione di ammirare. Questi alcuni dei primi tratti che è possibile riscontrare durante l’ascolto. L’abilità con cui il nostro riesce nel far coesistere suoni, tradizioni, attitudini lontani tra loro, ha davvero dello straordinario. Si senta a tal proposito il klezmer di “Ezkadi”, a tratti suonato con l’ impeto di una band hard rock, a tratti persino interrotto da diavolerie elettroniche. Delizioso e suadente l’incedere pacato e ficcante di “Nisroc”, si insinua nel profondo con le melodie sensuali del flauto e del banjo indiano di Koby, che mostra una volta di più la sua eccezionale confidenza ed abilità con gli strumenti più bizzarri. Tornano le sfuriate metalliche e le follie più impensabili nell’immediatamente successiva “Negef”, un brano che alterna momenti pacati, ma pur sempre arricchiti dalle solite geniali trovate, ad accelerazioni ai limiti del Thrash Metal, addirittura sfociate in uno pseudo reggae che riporta la composizione in territori più propriamente klezmer. L’effetto sorpresa è dunque il leit motif dell’opera: durante l’ascolto si ha come la sensazione dell’imminente colpo di scena, il quale può avere davvero i tratti più bizzarri, anche i più contraddittori che si possa immaginare. “Orobas” è dunque opera fresca, gustosa, suonata ed arrangiata ad arte da quello che reputo, non mi stancherò mai di precisarlo, uno degli artisti con maggior talento in circolazione. Una delle cose migliori ascoltate fino ad oggi di questo 2006.