Vanessa Van Basten – La Stanza Di Swedenborg

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All’uscita dell’omonimo EP promozionale di qualche mese fa, gridai al miracolo. Senza tanti giri di parole individuai nei Vanessa Van Basten la migliore tra le band emergenti nostrane senza contratto, in un momento tra l’altro molto pieno di ascolti underground di vario genere. In molti mi “accusarono” di aver esagerato, tra cui lo stesso Morgan Bellini (la mente che si cela dietro il nome Vanessa Van Basten) in una sua mail al sottoscritto. Adesso che ho tra le mani il primo full lenght ufficiale, dal titolo ‘La Stanza di Swedenborg’, in tutta franchezza non posso che tornare a ripetere quanto emerso allora, ovvero che si è di fronte ai migliori. Quantomeno ad una band di grande, grandissimo valore. Il motivo è presto detto. Il disco è straordinariamente bello, ma non è tanto questo il punto, piuttosto si ha, durante l’ascolto, la forte sensazione dell’esistenza di uno stile Vanessa Van Basten a cui far riferimento, come si è soliti fare per compagini più blasonate. Parlando di ‘La stanza di Swedemborg’, il post rock a tinte heavy dell’EP è stato qui portato ancor più oltre, è stato intriso di un senso onirico e di una straordinaria solennità che lo rende appetibile anche ai non cultori del genere. Post rock, una definizione che potrebbe appunto fuorviare, che senz’altro riguarda lo stile di una band in cui si fa evidente l’abilità di arricchire il tutto con una personalità dai tratti inconfondibili, inquietudini e oscurità, incontri cinematografici a sfondo orrorifico, dilatazioni ambientali di grande effetto ed atmosfera.
E’ la title track ad inaugurare l’ascolto, un brano spettrale, con la voce cinematografica fuori campo che descrive i particolari della stanza di Swedenborg. Non appena la voce si fa più intensa e sentita, ecco arrivare l’esordio musicale vero e proprio, una sequenza di accordi dal notevole impatto e dall’alto senso drammatico, sottolineati da un bel muro di chitarre distorte su essenzali, ma quanto mai efficaci, pattern di batteria. Cinque minuti che riassumono efficacemente lo stile Vanessa Van Basten. Non è ovviamente il solo picco del disco: si bissano gli stessi livelli su ”Dole”, che ne riprende tra l’altro il sound ed il mood. La successiva “Giornada de oro” è inizialmente più pacata e intima, grazie ad una bella chitarra acustica in evidenza, sebbene non rinunci poi a pennellare alcuni sinistri crescendo e a venir fuori con le solite asprezze heavy. La seconda parte dell’album è decisamente più evocativa e si concede anche qualche momento più soft, che opportunamente dona notevole respiro. Segnalo lo splendido glockenspiel sulle inclinazioni ambient di ”Il faro”, lo splendido incedere evocativo di “Floaters” e le temibili distorsioni degli algoritmi elettronici di “Vanja”. Non voglio dilungarmi oltre, credo di aver ampiamente descritto caratteristiche e meriti di questa nuova realtà tutta italiana che mi sorprende davvero di ascolto in ascolto. A voi adesso non resta che entrare a farne parte

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