Marillion – Somewhere Else

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Eppure fummo chiari qualche anno fa. Così chiari ed efficaci che dubbi non avrebbero dovuto esserci. Ricordate la storia del prefinanziamento? Una scelta coraggiosa, discutibile, anche poco elegante, che se non altro dette due punti fermi: a) Un album molto bello e riuscito (‘Marbles’); b) La strada da seguire per il futuro. Tutto inutile. Saranno i primi segni di un inevitabile Alzheimer, ma a quanto pare i Marillion non hanno capito. Sarò breve. Con i problemi finanziari finalmente risolti, Hogarth e soci tornano con un lavoro che segue un iter “discograficamente” più tradizionale. Ma in tutta onestà i Marillion, si badi bene il gruppo numero 2 della mia vita, con questo nuovo “Somewhere Else” sbagliano il più semplice dei calci di rigore. Nel nome della più scellerata esigenza di libertà artistica, si sceglie di alleggerire notevolmente la proposta, accorciando di molto i tempi e annacquando quello splendido art rock venato di sofisticato progressive sentito su ‘Marbles’. Pochi spunti degni di essere menzionati, ovvero il refrain di “Thank you whoever you are” e qualcosa sulla title track e molti momenti di scialba canzonetta inglese della peggior specie. A questo si aggiunga uno Steve Rothery in totale crisi d’ispirazione, incapace con la sua chitarra di azzeccare un solo momento solistico memorabile. Inoltre, quell’arietta scanzonata e sbarazzina che aleggia in alcuni episodi del disco (“See it like a baby”) è a dir poco fastidiosa e impertinente, ai limiti dell’affronto. Possibile che alla loro età vogliano ancora tentare la strada della grande affermazione? E dire che erano tornati ad essere la band inglese più emozionante. Adesso coraggio: carta di credito alla mano e prepariamoci per la prossima colletta, che questo album di sicuro li sbatterà nuovamente nel baratro. Cocciuti inglesi.