Dresda – We Are The Superfunkers

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Come si approcciano i Dresda al rock? Vi si approcciano inquadrando un panorama ben definito, sfumatamente netto. Scenario che non riserva sorprese particolari, ma scommette tutto il suo impatto emotivo sulla cognizione di causa. Stiamo parlando di post-rock – sì, alla fine l’ho detto – e di tutto ciò che comporta tale marchio inteso nel più classicistico dei modi; post-rock come codice somatizzato, pensato probabilmente a lungo, anelato e venerato. Post-rock come nuova forma di classic-rock, stile a cui l’ascoltatore potenziale è ormai educato e rispetto al quale si pone con aspettative e necessità precise.
I Dresda paiono muoversi in tal senso, manifestando passione e riguardo nei confronti dei numi tutelari che lascerei innominati, non foss’altro che per la loro ridondanza corrente. Chitarre arpeggiate, basso definito e circolare, batteria appoggiata e via lisci come l’olio; sì, non ci si alza mai dalla sedia, ma ciò non toglie che come biglietto da visita per il mondo questo ‘We Are The Superfunkers’ lasci se non altro l’impressione di una certa naiveté, quasi innocente nel modo di porsi. Questo EP è più un gesto d’amore nei confronti di un certo modo di intendere la musica che una produzione dall’identità riconoscibile; accolto in questo senso il debutto dei Dresda è anche godibile e, nel suo piccolo, sfaccettato: abbiamo la lunga traccia d’apertura a scoprire subito le carte che contano (dilatazioni, melodia, sospensione) per poi incresparsi nel momento forse più convincente dell’intera tracklist, ovvero la deflagrazione collettiva che si fregia di efficaci e suggestive linee chitarristiche ben controllate (il timbro del solista è davvero convincente, e non è poco in un genere fatto di ambienti sonori); di seguito siamo in territori un po’ più personali e timidamente intraprendenti, con ‘John Wayne Shot Me’ il quartetto genovese tenta la via di un possibile ibrido tra post-rock e soundtrack western (sfruttando l’effetto-colonna sonora connaturato al genere): break finale con tanto di marcia scandita dal timpano militare e suggestioni morriconiane che avvolgono l’intero brano, piuttosto gustoso; in ultimo, ‘My Funny Valentine’ chiude all’insegna della sospensione, peccando d’eccessiva reverenzialità e rischiando la coincidenza troppo precisa con lo stereotipo di riferimento.
Traendo le somme, questa dei Dresda, considerata come prima release assoluta, ha dalla sua una produzione che a volte risulta invidiabile persino a band non esattamente esordienti, nonché una consapevolezza dei propri mezzi e un gusto da non trascurare. Certo, i debiti non si contano, e anziché sobbalzare dalla sedia ci troveremo a sprofondarvi fissando lo scenario fuori dalla finestra, ma trattandosi di un demo, è gradevole alla fine dell’ascolto scoprirsi suggestionati.

Info:www.dresda.org