Talking silently with Japanese Gum

  • Uno splendido ep uscito da pochissimo, brani sparsi in varie compilation e prestazioni live veramente convincenti.
    Il biglietto da visita dei genovesi Japanese gum è uno di quelli che si conservano con cura, viene naturale quindi contattarli entrambi (Davide e Paolo) per conoscere ancora meglio la loro sognante musica elettronica:

    Rocklab: Ascoltando i vostri lavori colpiscono molto le sonorità, capaci di stupire anche quando restano più semplici. Come avviene la vostra ricerca musicale?

  • Paolo: La nostra ricerca musicale è qualcosa di molto emotivo.
    Mescolando rumori con strumenti cerchiamo di creare delle atmosfere suggestive dentro le quali chi ci ascolta può lasciarsi trasportare. Dietro questa semplicità di suono c’è però anche un lungo lavoro
    sui suoni che solitamente vengono creati e scelti ancora prima che venga concepita la canzone in termini di note.

    Davide: Credo che la nostra ricerca sia determinata da diverse “anime”, diversi modi di porsi che noi stessi abbiamo nei confronti della costruzione di un pezzo. La dicotomia lato emozionale/lato razionale è sempre in precario equilibrio… Ed è proprio questa la principale causa responsabile di quello che combiniamo… C’è la volta che accendiamo solo i synth, c’è la volta che lavoriamo con una chitarra ed il lap-top… Dipende appunto, come ha detto Paolo, dal fatto che ci concentriamo molto su come un suono può uscire, può venire a galla…e ciò fa si che le note fluiscano molto naturalmente e disegnino la composizione.
  • R.: Restando sulle atmosfere delle vostre canzoni, secondo voi a cosa potrebbero fare da perfetta colonna sonora?
  • P.: Le nostre atmosfere le legherei principalmente ad uno stato d’animo: la malinconia. Penso che sia ciò che lega in qualche modo tutte le nostre composizioni.

    D.:Non lo dico, se no poi mi prendono in giro….
    (se fossimo di persona noteresti una certa espressione ridanciana nel mio volto!)
  • R.: Sia il recente e ottimo “Talking silently ep” che la vostra partecipazione alla compilation che apre il catalogo della netlabel Chew-z, sono distribuite con licenza Creative commons, gratuitamente scaricabili da internet. Quali sono le motivazione di questa scelta? Quale credete sia il futuro di questa proposta in Italia?
  • P.: La scelta è stata in primo luogo dettata dalle politiche delle due etichette. Tuttavia noi appoggiamo questo tipo di licenza del momento che tutelano l’artista e vengono incontro alle persone che vogliono solo ascoltare il disco senza l’obbligo di comprarlo. Per di più credo sia un buon modo per farsi conoscere dal momento che il disco può girare liberamente e gratuitamente
    per la rete.
    Comunque direi che la Creative Commons verrà adottata principalmente solo dalle label minori. Le Major non accetteranno mai una licenza del genere. Perderebbero parte del loro prezioso profitto.

    D.: Dunque, sia Fabio (Chew-Z), sia Mat (Marsiglia), lavorano da tempo in questo modo e quando ci hanno proposto di fare uscire qualcosa per loro, ci hanno ovviamente parlato di Creative Commons e di come funzioni.
    Per noi è ok lavorare sotto Creative Commons perchè, in primis, si aggira l’ostacolo S.I.A.E. (non so se hai visto il documentario che gira nel web da un po’…) per quanto riguarda i diritti d’autore, in secondo luogo, credo che sia meglio un’ etica magari non in grado di coprirti al 100% legalmente piuttosto che una legge priva di etica.
    In Italia ho avuto modo di constatare che si inizia a parlare sempre più frequentemente di Creative Commons…spero che la sensibilizzazione della gente a questa nuova tipologia di tutela dei diritti avvenga, che nascano nuove iniziative e che nuove produzioni siano edite tramite questa licenza.
  • R: Dalla vostra musica emerge anche il legame con la vostra città, Genova, tanto che nell’ep è presente anche un remix dei concittadini Port-royal. Come vivete questo rapporto?
  • D.: Genova la amo. Anche se originariamente non sono esattamente del centro, ho sempre vissuto un legame intenso con questa città. Per me è speciale. E come ogni buon innamorato che si rispetti, non ne vedo i difetti, che purtroppo ci sono..

    D./P.: I Port-Royal sono amici. Con Emilio abbiamo suonato in un progetto parallelo per circa due anni e Attilio ci ha accompaganato sul palco alcune volte come guest… diciamo che abbiamo un rapporto di amicizia che per ovvie ragioni sconfina nella musica pure…
    Il remix di Paul Leni presente nell’ e.p. è una di tre versioni, realizzate per un album remix di Flares
    che non sappiamo però ancora bene quando vedrà la luce.
  • R: Ho trovato affascinante come riuscite a rimodellare le vostre canzoni in concerto. Come nasce la vostra dimensione live?
  • P.: La dimensione live nasce dall’esigenza della band di proporre al pubblico qualcosa di diverso dal disco. Il largo uso di chitarre che facciamo ne è la dimostrazione. In futuro cercheremo di evolverci maggiormente dal punto di vista sia musicale che visivo. Stiamo pensando di aggiungere dei visual che accompagnino i nostri pezzi. Inoltre ci piacerebbe avere qualche altro strumento “vero” che suoni con noi durante i nostri live.

    D.: Beh…Dal nostro primo live ad ora sono cambiate molte cose. Una volta ci muovevamo con poca strumentazione rispetto ad oggi, e usavamo basi molto più complete. Adesso le basi ci servono prevalentemente per la parte ritmica e in sequence ci sono solo alcuni synth che fisicamente non potremmo suonare per carenza di mani libere.
    Abbiamo migliorato col passare del tempo, e ci siamo resi conto di una cosa per altro molto ovvia: quando vai ad un concerto, la cosa più bella che può capitarti è assistere ad un live che non sia la semplice esecuzione dei brani che il gruppo “X” ha nel disco.
    Riuscire a dare qualcosa di diverso al pubblico, riuscire a stimolarlo con altre soluzioni rispetto a quelle che si possono trovare su album è importante. In più, tieni conto che ci sono variabili alle quali non si può prescindere durante un live: il pubblico presente, il locale, l’ umore, cosa hai mangiato prima, ecc…

  • R: In giro si legge già da un po’ di “Molotov is easy”, un album in lavorazione. Cosa potete dirci a proposito?
  • P.: Molotov is easy, o molto più probabilmente Molotov are easy, è un disco virtualmente già pronto. E’ l’evoluzione di quanto già sentito nell’ep. Sono canzoni più mature, sia dal punto di vista compositivo che dal punto di vista dei suoni. C’è stata molta più ricerca rispetto all’ep ed un editing decisamente più elaborato. Non vi resta che ascoltarlo non appena uscirà…

    D.: Abbiamo ancora bisogno di registrare alcune chitarre e voci, ma specie per chi come te ci ha visto dal vivo recentemente, i pezzi non saranno tutti nuovi. Posso aggiungere che ci sarà sicuramente un featuring, forse due… dovrebbe uscire verso l’inizio dell’anno prossimo…
  • R: Per finire quali altri progetti avete per il futuro più prossimo?
  • P.: I progetti per il futuro sono per prima cosa l’ultimazione del disco. Ma non solo. Stiamo anche pensando già al seguito del primo LP. Principalmente ora stiamo cercando di consolidare un nuovo approccio alle nostre composizioni. Diretto, più spontaneo ma allo stesso tempo più strutturato.