Kaki King – Everybody Loves You

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Kaki King è una giovane chitarrista americana. E questo è uno di quei casi in cui l’esordio contiene la famosa “scintilla” magica che poi si corrompe col mestiere, quello spirito naif – e un po’ citazionista – che rende un debut di per sé prezioso.
Trattasi di guitar solo acustici. Una tradizione lunga e imponente della quale Kaki entra a far parte in punta di piedi, quasi per sbaglio (in origine era una batterista) e subito eccole piovere addosso paragoni con le più grandi icone dello strumento (Alex De Grassi, Leo Kottke, Preston Reed…) laddove lo spirito a lei più affine è forse quello di Michael Hedges; ad avvicinarli è più che altro l’ascolto che rivolgono allo strumento, l’intimità che si snoda tra parentesi più ritmico-tribali e inflessioni ricche di attese, dubbi, titubanze.
‘Everybody Loves You’ non ci presenta la decantata erede dei virtuosi della sei corde folk, non facciamoci confondere; la bellezza del suo chitarrismo è legata all’incanto di un’acustica percossa e sfiorata appena, con una notevole varietà di tecniche mai abusate, con alternanze timbriche tali da render giustizia alle possibilità di questo strumento. Quasi lo si percepisce il suo chinarsi sulla cassa per sentire, aspettare. E’ un piacere riscontrare quanta fruibilità si nasconda dietro – dentro – queste note. Una chitarra che viene spesso erroneamente spacciata per edotta ma che vuol essere popolare: niente “bel suono”, né perfezionismi, Kaki ci parla con tono verbale e non nasconde il suo amore per la canzone, per il pop, unitamente ai suoi ascolti classici. Quando la tecnica è ancora una componente inconscia, un animale imbizzarrito che a stento si doma, allora è più naturale restare comunicativi. Risulta facile comporre frammenti emotivi da brivido (Carmine St., Night After Sidewalk, Joi) con una ricchezza di sfumature umorali vicina più al cantautorato che all’esecuzione strumentale. Altrettanto è possibile fare, con ruvidezza, nelle parentesi più ritmiche (Kewpie Station, Close Your Eyes & You’ll Burst Into Flames: quest’ultima con una seconda parte dal vitalismo straripante).
Belle, sensibili, acerbe canzoni dal linguaggio accogliente. Suonate da una chitarra selvatica.