Arcade Fire – Neon Bible

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Brividi freddi e non da poco per tutti coloro che avevano lasciato qualcosa più
di un brandello d’anima su ‘Funeral’, al pensiero che una valanga “orientale”
d’archi, fiati e percussioni potesse travolgere e stravolgere i sottili equilibri
di cui si componeva il mosaico sonoro dei canadesi e sommergerne quelle
sfumature, quelle screziature imperfette che li rendevano così tremendamente
umani; era davvero forte il timore di smarrire un talento tanto cristallino, giunto peraltro solo alla terza curva del proprio percorso artistico, soffocato magari da un eccesso di zelo e di ambizione, proprio quei ragazzi che ci avevano incantato per lo spessore e la leggerezza di brani che in quattro minuti attraversavano stati d’animo in perenne conflitto e che proprio in quel contrasto vivevano di luce propria.. Non che i suoni orchestrali debbano necessariamente tradursi in tronfi barocchismi o in stucchevoli svolazzi operistici, ma il passo drammaticamente falso in quesi casi è davvero dietro l’angolo. ‘Neon Bible’ si presenta ammantato di nero e verrebbe spontaneo pensare che l’elaborazione del lutto, tema principe dell’album precedente, si sia coagulata in una limacciosa palude di foschi pensieri e solitudini esposte. E quanto ci si sbaglia, ancora una volta. Il nero è invece più probabilmente quello degli occhi chiusi , persi nel raccoglimento sui massimi sistemi, a contatto con quella Grande Cosa che dall’alto tutto governa (o tutto lascia scorrere?). La cifra stilistica del gruppo è in un ancora più avvincente contesa tra raziocinio e passione, l’epica quotidianità del vissuto di un individuo di fronte alle proprie responsabilità, intelletto e coraggio, intenti wave e ardore blue collar rock.
Se “Black Mirror” tuona e caracolla gonfia d’impeto, “Intervention” è una di quelle canzoni da pugno alzato e lacrime agli occhi ( na “Badlands” per il 2007?…), laddove la mini-suite di “Black Wave/Bad Vibrations” cita Blondie e una certa pop-wave prima di ricoprirsi di piume orchestrali e spiccare il volo. “Ocean Of Noise” è elegante e sensuale come i Black Heart Procession virati ‘Tropico’ (album fin troppo sottovalutato), mirabile sunto di classe e languori soul, mentre “No Cars Go” e “Keep the Car Running” sono le frecce all’arco pop, scariche di basso, battimano, rullate e cori a squarciagola. Quando picchiano picchiano in questo disco e il basso romba come un elicottero; “The Well and The Lighthouse” ha una ritmica formato Interpol (ma che ghirigori,signori…), “Antichrist Television Blues” trasfigura invece lo Springsteen (ancora lui, dannazione…) di una “Johnny 99”.
Sono stati spesi complimenti d’ogni sorta su questo splendido combo d’oltreoceano, ma poche volte si è osato il termine originale; a ragione forse, dato che nel 2007 di nuovo s’inventa davvero pochino e lorsignori paiono avere un nutrito pantheon d’influenze nell’armadio. Permetteteci però di sottolineare come sia proprio la naturalezza della sintesi di pop, wave e roots rock proposta dagli Arcade Fire a renderli così preziosi ed imprescindibili, in un linguaggio, almeno nelle potenzialità, universale, forbito e “popular”…