Mars Volta, The – The Bedlam in Goliath

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:

In tutta sincerità: ‘The Bedlam in Goliath’ il nuovo, ennesimo, rutilante disco dei Mars Volta, è un pacco. Un’opera di proporzioni bibliche, mastodontica sia per la sua durata che per la grande varietà di suoni e soluzioni compositive utilizzati per plasmarla, un’opera talmente pacco da lasciarti letteralmente sotto shock. Viene addirittura il sospetto che i Mars Volta stiano consapevolmente prendendo in giro tutti quanti, anche se forse si prendono troppo sul serio per poter scherzare con la loro musica.
Passi per la storiella imbastita ad arte per rendere ancor più appetibile il tutto e potersi bullare di aver scritto l’ennesimo concept album (una irritante leggenda metropolitana su di una tavoletta da seduta spiritica utilizzata a scopo ricreativo durante il tour, un innocuo giochetto che ovviamente è sfuggito di mano al gruppo: in poche parole qualcosa che meriterebbe un intervento dei Caschi Blu dell’Onu), ma il disco è proprio spaventoso. Assolutamente indifendibile. Puro onanismo musicale, musica fatta solamente per far pesare al resto del mondo la propria bravura tecnica. Tutto è perfetto, nulla è fuori posto: peccato solo che manchino l’anima, la passione ed il cuore. Un disco che spacca il capello in quattro, caratterizzato da una maniacale cura per il particolare e da un’ossessiva ricerca della via più complicata e spigolosa. Tanto per rendere l’idea, quella dei Ma(r)sturbation Volta è musica con il fiatone, che suona come un’improvvisazione progettata a tavolino in ogni suo minimo dettaglio, talmente artefatta e saccente che dopo appena due tracce ti sembra di essere già all’undicesima. O forse vorresti essere già all’undicesima, cioè a pochi passi dal termine del supplizio.
Qualche momento lo si può anche salvare, ma appunto è solo un momento che immediatamente svanisce evolvendosi in qualcosa di fastidioso, urticante. I Mars Volta sono caratterizzati da una formula molto particolare, una formula che all’inizio poteva suonare innovativa ed interessante ma che ora si è arrotolata su sé stessa e sta dimostrando tutti i suoi limiti. Hanno pubblicato grandi dischi, ora si stanno perdendo per strada. Urge quindi una pausa di riflessione per comprendere meglio che fare. In fondo mica nessuno li obbliga a pubblicare un disco all’anno, no?

Simone Visentini

Al carattere non si sfugge. Moderare gli eccessi è tanto faticoso quanto, per chi non ne è avvezzo, spingersi verso gli estremi; e non è solo un cruccio interiore: un’indole forte è capace di influenzare tutti gli aspetti superficiali, tant’è che chi ascolta si accontenta di emularne gli atteggiamenti. “Più limitazioni hai, più creativo puoi essere” – concetto in sé un poco limitato, ma abbastanza efficace (e poco importa se parafrasato da Igor Stravinskij o citato da Jerry Stahl), soprattutto se associato all’epopea degli inseparabili Rodriguez-Lopez e Bixler Zavala. Menti convulse, calcolatrici nell’atto della composizione, violente in quello appena successivo, nell’applicare le note agli strumenti; indecise tra la finta compostezza della matematica sonora e la franca presunzione del palcoscenico.
Eppure questa nuova prova appare più composta, meno arroccata sui concetti, in questo caso più un escamotage giocoso che un dramma trasposto su pentagramma, paradossalmente quasi più suonata che raccontata. Meno spazio per l’esperimento e più fiducia nell’esperienza: ormai giunti al quindicesimo anno di militanza musicale, dopo fiumi di distorsioni hardcore e contorsioni stilistiche, l’irritante confusione di The Bedlam in Goliath, abbastanza evidente ai primi ascolti, è solo un altro passo verso la loro crescita personale, facilmente giustificata appunto dai trascorsi con gli At the Drive-In. Il pasticcio, comunque, è solo una facciata. Dietro lo stucco si nasconde una trama intelligente e, per la prima volta, una partitura che cerca una soluzione arrendevole al minutaggio, ma pur sempre fitta di note e accenti. Ancora più in profondità, si scopre anche una grande rilassatezza, un desiderio manifesto di semplicità, che sfocia in un classicismo quasi caricaturale. In particolar modo il lavoro condotto sulle chitarre richiama questa tendenza; tendenza che per alcuni è il loro punto di forza, per altri l’evidente prova della loro già anacronistica inutilità. È, quest’ultimo, un album che prende il fiato dopo tanto osare, che si guarda indietro per rendersi conto di quanti chilometri sono stati percorsi in così pochi anni. Poco importa, davvero, il suo valore intrinseco: la carriera dei Mars Volta è abbastanza complessa per non meritarsi tanta costrizione, ma un giudizio più globale, che racchiude quel che è stato e, si spera, quel che sarà.