The Seedy Seeds – Change States

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:

Tirando le somme, il disco dei Seedy Seeds è l’album che avrò ascoltato più volte dall’inizio dell’anno. E non so spiegarmi il perché.
Non è un disco impegnativo, anzi ha nell’immediatezza delle canzoni il suo punto di forza, un miscuglio di synth, folk, easy pop che arriva al bersaglio ancor prima di scoccare la freccia. Senti i suoni e capisci che si è nell’homemade puro, senti le melodie e pensi “vabbè… mica si può sempre fare Dark Side Of The Moon, però…”, così lo ascolti una volta e ce l’hai dentro.

Le coordinate musicali più vicine sono quelle degli Architecture in Helsinki del primo album, elettronica non impegnata quindi, ma invece del combo australiano abbiamo di fronte una simpatica coppia da Cincinnati dall’aspetto un un po’ nerd, quel tanto che basta per renderli cool. Li vedi in foto, una con la fisarmonica, l’altro con il banjio e ci resti un po’ interdetto… “ma chi… questi due? Col cappellone di lana manco fossero i nipoti di Badly Drawn Boy?”
Ebbene sì, sono proprio loro, gli autori di questo piccolo gioiellino: impossibile non farsi piacere pezzi come Earned Evarage Dance America o The Little Patton; i brani sono così giocosi, così frizzanti e spensierati che mettono buonumore e ottimismo. In più hanno il pregio di azzeccare il “suono” giusto nel momento giusto: e così, all’improvviso, ti accorgi di vocine filtrate al vocoder che ritmano il tempo, o beat improvvisi che staccano sul verso, tante piccole trovate che solo chi è fuori dai classici schemi di composizione riesce a utilizzare con una naturalezza quasi involontaria.

Non c’è che dire: Margaret e Mike si sono messi sotto, e senza l’aiuto di nessun altro hanno tirato fuori un debutto di quelli che non susciterà clamore o attenzione, ma sono sicuro che pian piano crescerà il passaparola e il debutto rimbalzerà da hard disk a hard disk.
O almeno questo è quello che gli auguro con tutto il cuore